Se Milano facesse Milano, per esempio, sarebbe un bel segnale per ritrovare un po’ della fiducia persa e trasformare i potenziali spettatori disinteressati in cittadini consapevoli, impegnati in un grande progetto.
Se l’Expo diventasse una bandiera, invece di essere ostacolato dalle faide della politica; se la Scala tornasse a unire, invece che a dividere sulla poltrona del sovrintendente; se Brera trovasse pace, nella sistemazione ideale di Pinacoteca e Accademia; se il Fuorisalone, che porta il design nelle strade e rende spettacolare la Fiera del mobile, diventasse via via un contagio sociale; se la partecipazione, con la quale il sindaco ha convinto i milanesi a votarlo, fosse portatrice di idee per migliorare la città; se la moda avesse l’attenzione che merita come motore culturale e occasione di lavoro; se il Comune ritrovasse l’ambizione di pensare in grande, alla cultura e alle arti, senza tralasciare le piccole cose che garantiscono la qualità urbana; se, insomma, ci fosse una maggior consapevolezza sul ruolo che Milano può e deve avere nella ripresa dell’Italia, potremmo dire oggi al presidente del Consiglio che la città accetta la sfida e si candida per la leadership della ripartenza.
Purtroppo Milano non fa ancora Milano. Non gioca in squadra, appare seduta, svuotata di traffico e di eventi, impaurita dai tagli nel bilancio, frenata nello slancio sull’unica manifestazione che per sei mesi la renderà internazionale, capitale mondiale di un modello di sviluppo a sostenibilità totale. La nomina del commissario unico non basta a creare quel sentimento che manca, a due anni da Expo 2015. È ora di uscire dal tiepido consenso e portare un supplemento di passione, mettere Milano e la Lombardia all’altezza di un’aspettativa che cresce e non va misurata col bilancino della destra o della sinistra. Expo è una straordinaria chance, forse l’unica, che Milano e l’Italia hanno per dare una boccata d’ossigeno al commercio, alla ricerca, all’agricoltura, al territorio e alle imprese. E per investire sui giovani, sull’entusiasmo di chi guarda a un futuro locale e globale. Se si vuole declinare innovazione, rispetto per l’ambiente, responsabilità sociale attorno a un tema planetario come la fame nel mondo, è arrivato il momento di farlo.
A un appuntamento importante bisogna però arrivare preparati. Senza scheletri nell’armadio, con i doverosi controlli, nella massima trasparenza. E con i compiti fatti. Dice il sindaco Pisapia che per Milano «non c’è futuro senza visione e sviluppo, ma non c’è presente se il tram non arriva puntuale». Una sintesi efficace. Aggiunge anche che Milano «o è motore della nuova ripresa per tutta l’Italia o fallisce il suo ruolo di propulsore della crescita economica e di avanguardia culturale e intellettuale». È un programma ambizioso. Ma nel motore oggi c’è un intoppo, un bullone svitato, una vistosa insufficienza che va riparata, perché penalizza una delle istituzioni di maggior prestigio: la Scala. Il grande teatro è azzoppato da una direzione in partenza. Lissner, il sovrintendente che ha avuto il merito del rilancio nel 2005, è stato chiamato direttamente dal premier Hollande alla guida dell’Opéra Bastille, per restituire grandeur al teatro lirico di Francia: resterà a mezzo servizio fino al 2015. Se Milano fosse Milano eviterebbe alla Scala un imbarazzo che in nessuna azienda sarebbe tollerato: non si guida la Ferrari lavorando anche per la McLaren. La scelta del sostituto è complessa, ci sono tramestii interessati, spinte e controspinte e un bando internazionale tirato fuori dal sindaco come escamotage per prendere tempo. Milano che abdica, che si affida a un bando, è l’immagine di una rinuncia che penalizza merito e talento. Che interesse può avere un numero uno a candidarsi, rischiando di essere bocciato da un consiglio di amministrazione che si riserva la decisione finale? Perché alla Scala non si può decidere, con la stessa rapidità di Hollande, per garantire al massimo teatro lirico d’Italia, e perché no, del mondo, quel che può rappresentare in questo momento il meglio?
Viviamo dentro un cupo pessimismo, ed è un dovere contrastarlo con gli esempi, come invita da tempo il presidente Napolitano. Dall’Expo alla Scala alla politica alle attività produttive e alla vita sociale servirebbe un segnale per incoraggiare una svolta, e Milano potrebbe darlo unendo le forze, come hanno sollecitato sul Corriere i rettori di tre università, Statale, Politecnico e Bocconi. Bisogna muoversi, per ridare fiducia e speranza a una città in attesa e a un Paese stremato. Ripensando a Sant’Ambrogio e ai momenti difficili, viene da citare l’esempio delle api per ritrovare uno stile e un metodo: «Comune a tutte è il lavoro, comune il cibo, comune l’attività come l’uso e il provento» (I sei giorni della creazione, dies V serm. VIII). Responsabilità, partecipazione, tenacia e onestà, dunque. Alle quali Milano può aggiungere creatività, fantasia e solidarietà. Le energie pubbliche e private, anche nella crisi che stiamo vivendo, se si sollecitano e si cercano certamente si trovano. A Milano, siamo sicuri, non mancano.
Giangiacomo Schiavi6 maggio 2013 | 9:29©
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- Dalla Scala all’Expo le delusioni milanesi
Macao, occupato il cinema Manzoni
Il collettivo dei lavoratori dell’arte ha colpito di nuovo a un anno di distanza dall’occupazione della torre Galfa] Macao, occupato il cinema Manzoni
l collettivo dei lavoratori dell’arte ha colpito di nuovo a un anno di distanza dall’occupazione della torre Galfa
A un anno di distanza dall’occupazione della torre Galfa, il collettivo dei lavoratori dell’arte Macao ha colpito di nuovo. Per festeggiare il primo «compleanno» ha occupato il cinema Manzoni in centro a Milano, al momento vuoto in quanto è stato venduto. Circa 150 giovani si sono dati appuntamento davanti a palazzo Marino. E da lì, sotto la pioggia, si sono diretti verso il loro «obiettivo» passando per via Monte di Pietà e via dei Giardini. Nella sala cinematografica, è stato riferito, i nuovi «inquilini» dovrebbero tenere oggi un incontro sulla «storia» del cinema Manzoni, ora «liberato», e poi anche un concerto. «Festeggiamo con una nuova azione per sensibilizzare la città all’utilizzo del patrimonio culturale» ha spiegato Emanuele, uno dei rappresentanti del collettivo.
IL COMUNE – Garantire che all’interno del progetto di ristrutturazione, proposto dalla proprietà per l’ex cinema Manzoni, vengano dedicati spazi per la cultura. È quanto il Comune, nel rispetto dei ruoli e nell’ottica di superare l’attuale stato di abbandono dell’immobile, sta negoziando, dal momento che questa struttura, chiusa da molto tempo, è da sempre privata. «Questa Amministrazione, inoltre, nell’ambito delle proprie competenze, ha avviato, con Temporiuso, un percorso con l’obiettivo restituire alla cultura spazi abbandonati affidandoli ad associazioni presenti sul territorio, attraverso bandi trasparenti cui si può partecipare, in un rapporto di dialogo costruttivo, dando vita a progetti e esperienze culturali e sociali importanti per la città”, hanno detto la vicesindaco Lucia De Cesaris e l’assessore alla Cultura, Filippo Del Corno.
Redazione Milano online corrirre.it
5 maggio 2013 (modifica il 6 maggio 2013)
Commento by Anonimo — 6 Maggio 2013 @ 14:19
Letta: «Subito nuova legge elettorale
Tagli a cultura e ricerca? Mi dimetterò»
Letta ospite a «Che tempo che fa» (Ansa)Letta ospite a «Che tempo che fa» (Ansa)
Si è conclusa con impegno solenne l’intervista del Presidente del Consiglio Enrico Letta a «Che tempo che fa»: «Se ci saranno tagli a cultura e ricerca mi dimetterò». Per il resto ha ampiamente parlato di Imu e legge elettorale. «La sospensione della rata di giugno dell’Imu consentirà di mettere in campo delle riforme di tutto quello che riguarda l’edilizia» ha affermato. Quindi ha tenuto a precisare: «L’Imu non è una cosa di Berlusconi, il suo superamento faceva parte dei programmi di tutti e tre i partiti politici che sostengono il governo. Il Pd aveva il superamento come uno dei piani essenziali. Si va in quella direzione ma i particolari sono da discutere».
LEGGE ELETTORALE – Immediato anche l’intervento sulla legge elettorale. «Le elezioni sono andate come sappiamo, per colpa di una legge elettorale balorda si è creata ingovernabilità e va cambiata per non tornare a votare con una legge elettorale assurda». Secondo il premier: «Al più presto si deve abrogare la legge elettorale che c’è e tornare alla precedente, si può fare con una legge ordinaria ma la riduzione del numero dei parlamentari va fatto con una legge costituzionale quindi la procedura è più lunga. Volendo bastano 7-8 mesi ma bisogna farla con la maggior determinazione possibile».
Letta: «Tagli a cultura e ricerca? Pronto a lasciare»
Commento by Anonimo — 6 Maggio 2013 @ 14:24
Massimo Bray, un ministro della cultura che crede nella cultura
http://bandettini.blogautore.repubblica.it
massimo-bray-tournelsud
Sulla pagina twitter del neo ministro della Cultura, Massimo Bray c’è scritto:
“Credo che partire dalla Cultura sia il modo migliore per costruire un Paese in cui tutti si riconoscano”.
Personalmente un ministro che si presenta così non mi dispiace, specie dopo le esangui personalità che hanno contraddistinto gli ultimi ministri passati per quel dicastero, da Bondi, Galan a Ornaghi. Ma non tutto è rosa e fiori: perchè molti non perdonano al neo-ministro di essere un dalemiano di ferro e di fare parte della Fondazione Italianieuropei. Altri più spregiativamente sottolineano “solo” il suo ruolo di presidente del consiglio d’amministrazione della Fondazione “La Notte della Taranta”. Un po’ poco per un ministro della Cultura.
Chi è il ministro?. La scheda di Bray dice che è “nato a Lecce l’11 aprile 1959. Laureato in lettere e filosofia a Firenze, è stato eletto deputato il 24-25 febbraio 2013 nelle fila del Pd. Nel 1991 entra all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, come redattore responsabile della sezione di Storia moderna dell’Enciclopedia La Piccola Treccani. Nel 1994 ne diviene il direttore editoriale. E’ direttore responsabile della rivista Italianieuropei. Presiede il consiglio d’amministrazione della Fondazione “La Notte della Taranta”, che organizza il più grande festival europeo di musica popolare, dedicato al recupero della pizzica salentina e alla sua fusione con altri linguaggi musicali, dalla world music al rock, dal jazz alla sinfonica”.
Le reazioni. Cauti entusiasmi per questa scelta del premier Letta sulla Cultura arrivano da più parti.
Il comitato di reggenza dell’Agis dice che chiederà “di incontrare al più presto il nuovo ministro per avviare una collaborazione e un confronto sulle molte urgenze dello spettacolo: leggi di principi per il cinema e per lo spettacolo dal vivo; normativa specifica per i lavoratori del settore; adeguatezza delle risorse; agevolazioni fiscali; riconoscimento del valore socio-culturale della musica popolare contemporanea; valorizzazione delle sale cinematografiche e teatrali come elementi centrali di aggregazione sociale e crescita civile; utilizzazione dei fondi strutturali europei anche per la cultura; lotta alla pirateria; adeguamento delle norme di sicurezza; revisione della normativa sul diritto d’autore; sostegno alla nuova imprenditoria giovanile; semplificazione delle norme di funzionamento delle imprese del settore.
Riccardo Tozzi presidente Anica (l’associazione dei produttori di cinema): “Credo che finalmente il mondo della Produzione di cultura abbia trovato un interlocutore. Ne conosco l’attività e so del suo interesse per l’industria culturale italiana”
E Roberto Grossi, presidente di Federculture: “Finalmente l’Italia ha un nuovo governo, che ci auguriamo tutti possa affrontare i gravi problemi del Paese e aprire nuove prospettive. Nell’esprimere, da parte del mondo della cultura, i nostri auguri di buon lavoro al Presidente del Consiglio Enrico Letta, a tutta la squadra dei ministri e, in particolare, al nuovo Ministro per i Beni e le Attività culturali e del Turismo Massimo Bray, auspichiamo vivamente che che si apra una pagina nuova anche per il settore dell’economia della conoscenza che da troppo tempo, come lo stesso Presidente Napolitano ha più volte sottolineato, è stato il vero fanalino di coda fra le scelte della politica”. Federculture ritiene “positiva la decisione di accorpare alla cultura anche la delega del turismo, a riconoscimento dell’importanza del turismo culturale ormai asse portante dell’industria turistica italiana. Sappiamo tutti che le risorse disponibili sono molto poche e che non sarà possibile fare miracoli. Chiediamo, però, che venga finalmente definita una strategia per la cultura dentro la strategia di sviluppo del Paese, affinchè si superi la logica degli interventi di emergenza che hanno riempito negativamente le cronache della cultura negli ultimi anni. E’ necessario, infatti, che si aprano possibilità vere di rilancio dell’industria culturale e creativa, che è la vera vocazione dell’Italia, un potenziale che non può essere dissipato. Il valore aggiunto prodotto dai settori legati al “bello” era il 6,1% del Pil nel 2000 e oggi è sceso al 5,4% ; abbiamo perso in pochi anni circa 8 miliardi in termini reali e circa 100.000
posti di lavoro (Censis). Non solo gli operatori, ma tutti i cittadini – conclude Grossi – si aspettano quindi dall’intero governo e dal nuovo ministro per i beni culturali una decisa inversione di marcia per riportare la cultura tra le priorità del Paese.”
Tag: cultura, governo Letta, Ministro della Cultura
Commento by Anonimo — 6 Maggio 2013 @ 14:29
Finalmente qualcuno vede chiaramente le cose come stanno .Non solo dai lavoratori della Scala ma ora la denuncia del costoso in tutti sensi “stallo “viene finalmente espsoto dalle pagine del corrierone . Lissner vat-tin
Commento by Anonimo — 7 Maggio 2013 @ 23:26
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Commento by Anonimo — 20 Maggio 2013 @ 12:09
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