Sono passati, ormai e purtroppo, molti anni da quando ci siamo resi conto che tante vittime dell’amianto potevano essere salvate, da quando abbiamo tutti capito che le responsabilità per la tragedia causata da questa fibra–killer sono molteplici e di varia origine, da quando persino le aziende hanno cessato di negare le gravissime e letali conseguenze delle esposizioni all’amianto (purché a loro non attribuibili).
E siamo tutti, lavoratori ed ex lavoratori, cittadini normali e uomini politici, amministratori pubblici e imprenditori, consapevoli del fatto che per decenni questo Stato ha accettato che semplici operai contraessero gravi malattie e morissero a causa del lavoro, per aver avuto a che fare con l’amianto, nonostante la storica evidenza scientifica della natura cancerogena genotossica dell’asbesto: senza intervenire su quella produzione di morte, in nome e a tutela del profitto.
Ma quello che è, per certi versi, ancora più sorprendente è che alla data di oggi – fine 2008 – i lavoratori si vedono ancora costretti a combattere dure, difficili e costose battaglie (anche legali) per ottenere il riconoscimento di quanto dovrebbe essere loro immediatamente dovuto: il riconoscimento del loro diritto alla salute, alla integrità fisio–psichica e, nei casi più malaugurati, ad un risarcimento–indennizzo adeguato e decoroso.
Colpisce sempre invece il comportamento farisaico di una certa classe politica e di Governo che, pur non potendo più negare i letali influssi sui lavoratori dell’amianto, ne disconosce però quelle che dovrebbero ritenersi naturali e logiche conseguenze: sia a livello legislativo, sia a livello di direttive agli enti amministrativi preposti (Inail, Inps, ecc), sia pure a livello di amministrazione delle cause giudiziarie (civili, amministrative e penali).
Nella nostra Carta Costituzionale, così come in tutte le dichiarazioni internazionali (sia europee che mondiali) a tutela dell’uomo, sono inseriti i principi fondamentali che dovrebbero costituire il punto di riferimento, il faro, per ogni azione di Governo.
E tra questi principi, rientrano come insopprimibili e inalienabili il diritto alla salute e il diritto alla propria integrità fisio–psichica: con una sola espressione, il diritto al rispetto della persona e della sua dignità.
La triste vicenda dell’amianto ci conferma invece che siamo ancora lontani dal pieno riconoscimento di questo diritto. Ciò non ci impedisce però di continuare a lavorare e a lottare per fare in modo che i diritti dell’uomo, in concreto e non solo in astratto, possano essere pienamente e pacificamente riconosciuti, a ogni livello e in ogni settore della nostra vita: da quello politico a quello giudiziario, da quello sociale a quello amministrativo.
Ringraziamo l’avv. Ezio Bonanni per aver dato il suo consenso, permettendoci di rendere disponibile su internet, il suo libro.
gio 7 dic 2009
Sfruttamento, inquinamento e sostanze cancerogene: non esiste nessun limite accettabile o soglia di tolleranza
La società in cui viviamo considera normale che degli esseri umani perdano la vita o subiscano gravi infortuni sul lavoro con invalidità permanenti, e si preoccupa solo di contenere le perdite entro limiti considerati “accettabili” per non urtare l’opinione pubblica. In nome del profitto e dello sfruttamento del lavoro salariato, gli operai, i lavoratori continuano a morire sul lavoro e di lavoro. Per anni datori di lavoro e dirigenti – pur sapendo che certe sostanze cancerogene avrebbero avuto conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori – nella ricerca del massimo profitto non si sono fatti scrupoli, risparmiando anche sui pochi spiccioli per la sicurezza. Le sostanze cancerogene fatte usare nei processi industriali, sui luoghi di lavoro, dagli operai senza alcuna protezione da dirigenti e datori di lavoro che, pur sapendo dei rischi, nascondevano ai lavoratori i pericoli mortali a cui andavano incontro (come nel caso dell’amianto), hanno provocato gravi danni umani, sociali, ambientali.
Ogni anno migliaia di vite umane vengono sacrificate in una guerra non dichiarata che vede morti e feriti solo da parte operaia, da chi al mattino esce di casa per guadagnarsi da vivere e – spesso – a sera non ritorna . Ecco in sintesi le cifre di questa guerra:
1.300 lavoratori in Italia ogni anno vengono assassinati sui posti di lavoro o perdono la vita a causa degli infortuni sul lavoro, a cui vanno aggiunti altre 4 mila vittime delle malattie professionali.
Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono oltre 120.000 i decessi causati ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto. Anche i dati forniti dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto, che si è tenuta in Giappone nel 2004, parlano di oltre 70.000 persone che muoiono per cancro polmonare e circa 44.000 per mesotelioma pleurico.
L’amianto come tutte le sostanze cancerogene modifica la molecola del DNA delle cellule dell’organismo umano causando rotture o mutazioni chimiche, provocando malfunzionamento che sono all’origine dei tumori. Quindi non esistono soglie di sicurezza o tolleranza alle sostanze cancerogene. Anche una sola fibra di amianto può generare il mesotelioma. Per gli inquinanti cancerogeni non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio. Come movimento operaio e popolare noi siamo per il rischio zero e dobbiamo lottare per imporlo ai padroni. Non possiamo accettare sotto il ricatto del posto di lavoro di rimetterci la salute e la vita, e proprio per questo serve l’organizzazione.
Molti di noi sanno per propria esperienza, e per i segni che portano nel corpo, che l’amianto ha creato e continua a creare gravi danni dal punto di vista umano, sanitario e ambientale; tuttavia questa verità trova molte resistenze ad essere riconosciuta. Le lotte di operai, lavoratori e cittadini che in questi anni si sono auto organizzati in Comitati e Associazioni hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendoli” a perseguire i responsabili e ottenendo in alcuni, pochi casi, un briciolo di giustizia. Tuttavia ancora molto rimane da fare
Governi e istituzioni che riconoscono come legittimo il profitto, che arrivano a legalizzare punendo con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro, dimostrano la loro natura di classe e di essere al servizio solo di una parte ben precisa di cittadini: quella degli industriali responsabili di queste stragi operaie. Per troppi anni le istituzioni hanno tollerato e coperto questi omicidi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Senza rispetto per la vita umana, gli operai, i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti sul territorio, se non si eliminano bonificandolo, ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Dobbiamo fare in modo che chi partecipa ai vari convegni delle associazioni – medici, ricercatori, tecnici, giudici, sindacalisti, politici o altro – prenda degli impegni ed esigere che vengano rispettati e non, come succede spesso, i dibattiti sull’argomento siano semplicemente una passerella.
Noi siamo contro la monetizzazione della salute e della vita umana e non possiamo accettare la “normalità” dei morti sul lavoro e di lavoro e che la nostra vita sia valutata da un tribunale dopo che ci siamo ammalati o morti.
Anche se non ci facciamo illusioni continuiamo a denunciare lo Stato Italiano che, non rispettando neanche la costituzione e spendendo miliardi di soldi pubblici per finanziare speculatori, banche, imprese a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, è al servizio di una sola categoria di cittadini, quelli della classe borghese.
Il capitalismo, il sistema imperialista, nella ricerca del massimo profitto e dell’acuirsi della concorrenza commerciale, genera continuamente nuove guerre, armi di distruzione di massa e tecnologie che – inserite nel processi lavorativi e di produzione – portano nuove malattie e morte.
La crisi ha evidenziato una sostanziale identità di interessi fra i rappresentanti di “destra” e di “sinistra” del capitale nella difesa del sistema. Il capitalismo – anche quando rispetta e non trasgredisce le sue leggi, essendo basato sullo sfruttamento e sull’espropriazione dell’operaio, del lavoratore individuale e collettivo – rapina “normalmente” i proletari. Non abbiamo mai visto in Italia un padrone andare in galera per aver assassinato i lavoratori.
Pensare di eliminare i morti sul lavoro e di lavoro sulla base dell’attuale sistema di produzione è come pensare di essere liberi pur essendo in prigione. Noi non ci limitiamo a piangerli ma continuiamo a lottare. Gli omicidi dei lavoratori non sono altro che il prezzo pagato dagli sfruttati sull’altare del profitto. Essi sono il prodotto del capitalismo industriale, il capitalismo “buono” che viene spesso contrapposto a quello “cattivo” della finanza e delle banche. Tuttavia ci opporremo con forza a che si facciano nuove leggi che concedono ancor più l’impunità ai padroni assassini.
Anni di delega a partiti e sindacati che riconoscono la legittimità del profitto non hanno risolto i nostri problemi. La nostra esperienza ci dimostra che solo partecipando in prima persona, organizzandoci sui nostri interessi, la battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani e la distruzione della natura può avere una prospettiva di vittoria.
Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, non basta lottare per conquistarli: in questa società i diritti vanno difesi e riconquistati ogni giorno.
Il presidente del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”
Michele Michelino
Commento by AutoOrgScala — 6 Gennaio 2010 @ 22:34
gio 7 dic 2009
Sfruttamento, inquinamento e sostanze cancerogene: non esiste nessun limite accettabile o soglia di tolleranza
La società in cui viviamo considera normale che degli esseri umani perdano la vita o subiscano gravi infortuni sul lavoro con invalidità permanenti, e si preoccupa solo di contenere le perdite entro limiti considerati “accettabili” per non urtare l’opinione pubblica. In nome del profitto e dello sfruttamento del lavoro salariato, gli operai, i lavoratori continuano a morire sul lavoro e di lavoro. Per anni datori di lavoro e dirigenti – pur sapendo che certe sostanze cancerogene avrebbero avuto conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori – nella ricerca del massimo profitto non si sono fatti scrupoli, risparmiando anche sui pochi spiccioli per la sicurezza. Le sostanze cancerogene fatte usare nei processi industriali, sui luoghi di lavoro, dagli operai senza alcuna protezione da dirigenti e datori di lavoro che, pur sapendo dei rischi, nascondevano ai lavoratori i pericoli mortali a cui andavano incontro (come nel caso dell’amianto), hanno provocato gravi danni umani, sociali, ambientali.
Ogni anno migliaia di vite umane vengono sacrificate in una guerra non dichiarata che vede morti e feriti solo da parte operaia, da chi al mattino esce di casa per guadagnarsi da vivere e – spesso – a sera non ritorna . Ecco in sintesi le cifre di questa guerra:
1.300 lavoratori in Italia ogni anno vengono assassinati sui posti di lavoro o perdono la vita a causa degli infortuni sul lavoro, a cui vanno aggiunti altre 4 mila vittime delle malattie professionali.
Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono oltre 120.000 i decessi causati ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto. Anche i dati forniti dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto, che si è tenuta in Giappone nel 2004, parlano di oltre 70.000 persone che muoiono per cancro polmonare e circa 44.000 per mesotelioma pleurico.
L’amianto come tutte le sostanze cancerogene modifica la molecola del DNA delle cellule dell’organismo umano causando rotture o mutazioni chimiche, provocando malfunzionamento che sono all’origine dei tumori. Quindi non esistono soglie di sicurezza o tolleranza alle sostanze cancerogene. Anche una sola fibra di amianto può generare il mesotelioma. Per gli inquinanti cancerogeni non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio. Come movimento operaio e popolare noi siamo per il rischio zero e dobbiamo lottare per imporlo ai padroni. Non possiamo accettare sotto il ricatto del posto di lavoro di rimetterci la salute e la vita, e proprio per questo serve l’organizzazione.
Molti di noi sanno per propria esperienza, e per i segni che portano nel corpo, che l’amianto ha creato e continua a creare gravi danni dal punto di vista umano, sanitario e ambientale; tuttavia questa verità trova molte resistenze ad essere riconosciuta. Le lotte di operai, lavoratori e cittadini che in questi anni si sono auto organizzati in Comitati e Associazioni hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendoli” a perseguire i responsabili e ottenendo in alcuni, pochi casi, un briciolo di giustizia. Tuttavia ancora molto rimane da fare
Governi e istituzioni che riconoscono come legittimo il profitto, che arrivano a legalizzare punendo con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro, dimostrano la loro natura di classe e di essere al servizio solo di una parte ben precisa di cittadini: quella degli industriali responsabili di queste stragi operaie. Per troppi anni le istituzioni hanno tollerato e coperto questi omicidi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Senza rispetto per la vita umana, gli operai, i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti sul territorio, se non si eliminano bonificandolo, ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Dobbiamo fare in modo che chi partecipa ai vari convegni delle associazioni – medici, ricercatori, tecnici, giudici, sindacalisti, politici o altro – prenda degli impegni ed esigere che vengano rispettati e non, come succede spesso, i dibattiti sull’argomento siano semplicemente una passerella.
Noi siamo contro la monetizzazione della salute e della vita umana e non possiamo accettare la “normalità” dei morti sul lavoro e di lavoro e che la nostra vita sia valutata da un tribunale dopo che ci siamo ammalati o morti.
Anche se non ci facciamo illusioni continuiamo a denunciare lo Stato Italiano che, non rispettando neanche la costituzione e spendendo miliardi di soldi pubblici per finanziare speculatori, banche, imprese a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, è al servizio di una sola categoria di cittadini, quelli della classe borghese.
Il capitalismo, il sistema imperialista, nella ricerca del massimo profitto e dell’acuirsi della concorrenza commerciale, genera continuamente nuove guerre, armi di distruzione di massa e tecnologie che – inserite nel processi lavorativi e di produzione – portano nuove malattie e morte.
La crisi ha evidenziato una sostanziale identità di interessi fra i rappresentanti di “destra” e di “sinistra” del capitale nella difesa del sistema. Il capitalismo – anche quando rispetta e non trasgredisce le sue leggi, essendo basato sullo sfruttamento e sull’espropriazione dell’operaio, del lavoratore individuale e collettivo – rapina “normalmente” i proletari. Non abbiamo mai visto in Italia un padrone andare in galera per aver assassinato i lavoratori.
Pensare di eliminare i morti sul lavoro e di lavoro sulla base dell’attuale sistema di produzione è come pensare di essere liberi pur essendo in prigione. Noi non ci limitiamo a piangerli ma continuiamo a lottare. Gli omicidi dei lavoratori non sono altro che il prezzo pagato dagli sfruttati sull’altare del profitto. Essi sono il prodotto del capitalismo industriale, il capitalismo “buono” che viene spesso contrapposto a quello “cattivo” della finanza e delle banche. Tuttavia ci opporremo con forza a che si facciano nuove leggi che concedono ancor più l’impunità ai padroni assassini.
Anni di delega a partiti e sindacati che riconoscono la legittimità del profitto non hanno risolto i nostri problemi. La nostra esperienza ci dimostra che solo partecipando in prima persona, organizzandoci sui nostri interessi, la battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani e la distruzione della natura può avere una prospettiva di vittoria.
Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, non basta lottare per conquistarli: in questa società i diritti vanno difesi e riconquistati ogni giorno.
Il presidente del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”
Michele Michelino
Commento by AutoOrgScala — 6 Gennaio 2010 @ 22:34
gio 7 dic 2009
Sfruttamento, inquinamento e sostanze cancerogene: non esiste nessun limite accettabile o soglia di tolleranza
La società in cui viviamo considera normale che degli esseri umani perdano la vita o subiscano gravi infortuni sul lavoro con invalidità permanenti, e si preoccupa solo di contenere le perdite entro limiti considerati “accettabili” per non urtare l’opinione pubblica. In nome del profitto e dello sfruttamento del lavoro salariato, gli operai, i lavoratori continuano a morire sul lavoro e di lavoro. Per anni datori di lavoro e dirigenti – pur sapendo che certe sostanze cancerogene avrebbero avuto conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori – nella ricerca del massimo profitto non si sono fatti scrupoli, risparmiando anche sui pochi spiccioli per la sicurezza. Le sostanze cancerogene fatte usare nei processi industriali, sui luoghi di lavoro, dagli operai senza alcuna protezione da dirigenti e datori di lavoro che, pur sapendo dei rischi, nascondevano ai lavoratori i pericoli mortali a cui andavano incontro (come nel caso dell’amianto), hanno provocato gravi danni umani, sociali, ambientali.
Ogni anno migliaia di vite umane vengono sacrificate in una guerra non dichiarata che vede morti e feriti solo da parte operaia, da chi al mattino esce di casa per guadagnarsi da vivere e – spesso – a sera non ritorna . Ecco in sintesi le cifre di questa guerra:
1.300 lavoratori in Italia ogni anno vengono assassinati sui posti di lavoro o perdono la vita a causa degli infortuni sul lavoro, a cui vanno aggiunti altre 4 mila vittime delle malattie professionali.
Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono oltre 120.000 i decessi causati ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto. Anche i dati forniti dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto, che si è tenuta in Giappone nel 2004, parlano di oltre 70.000 persone che muoiono per cancro polmonare e circa 44.000 per mesotelioma pleurico.
L’amianto come tutte le sostanze cancerogene modifica la molecola del DNA delle cellule dell’organismo umano causando rotture o mutazioni chimiche, provocando malfunzionamento che sono all’origine dei tumori. Quindi non esistono soglie di sicurezza o tolleranza alle sostanze cancerogene. Anche una sola fibra di amianto può generare il mesotelioma. Per gli inquinanti cancerogeni non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio. Come movimento operaio e popolare noi siamo per il rischio zero e dobbiamo lottare per imporlo ai padroni. Non possiamo accettare sotto il ricatto del posto di lavoro di rimetterci la salute e la vita, e proprio per questo serve l’organizzazione.
Molti di noi sanno per propria esperienza, e per i segni che portano nel corpo, che l’amianto ha creato e continua a creare gravi danni dal punto di vista umano, sanitario e ambientale; tuttavia questa verità trova molte resistenze ad essere riconosciuta. Le lotte di operai, lavoratori e cittadini che in questi anni si sono auto organizzati in Comitati e Associazioni hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendoli” a perseguire i responsabili e ottenendo in alcuni, pochi casi, un briciolo di giustizia. Tuttavia ancora molto rimane da fare
Governi e istituzioni che riconoscono come legittimo il profitto, che arrivano a legalizzare punendo con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro, dimostrano la loro natura di classe e di essere al servizio solo di una parte ben precisa di cittadini: quella degli industriali responsabili di queste stragi operaie. Per troppi anni le istituzioni hanno tollerato e coperto questi omicidi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Senza rispetto per la vita umana, gli operai, i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti sul territorio, se non si eliminano bonificandolo, ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Dobbiamo fare in modo che chi partecipa ai vari convegni delle associazioni – medici, ricercatori, tecnici, giudici, sindacalisti, politici o altro – prenda degli impegni ed esigere che vengano rispettati e non, come succede spesso, i dibattiti sull’argomento siano semplicemente una passerella.
Noi siamo contro la monetizzazione della salute e della vita umana e non possiamo accettare la “normalità” dei morti sul lavoro e di lavoro e che la nostra vita sia valutata da un tribunale dopo che ci siamo ammalati o morti.
Anche se non ci facciamo illusioni continuiamo a denunciare lo Stato Italiano che, non rispettando neanche la costituzione e spendendo miliardi di soldi pubblici per finanziare speculatori, banche, imprese a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, è al servizio di una sola categoria di cittadini, quelli della classe borghese.
Il capitalismo, il sistema imperialista, nella ricerca del massimo profitto e dell’acuirsi della concorrenza commerciale, genera continuamente nuove guerre, armi di distruzione di massa e tecnologie che – inserite nel processi lavorativi e di produzione – portano nuove malattie e morte.
La crisi ha evidenziato una sostanziale identità di interessi fra i rappresentanti di “destra” e di “sinistra” del capitale nella difesa del sistema. Il capitalismo – anche quando rispetta e non trasgredisce le sue leggi, essendo basato sullo sfruttamento e sull’espropriazione dell’operaio, del lavoratore individuale e collettivo – rapina “normalmente” i proletari. Non abbiamo mai visto in Italia un padrone andare in galera per aver assassinato i lavoratori.
Pensare di eliminare i morti sul lavoro e di lavoro sulla base dell’attuale sistema di produzione è come pensare di essere liberi pur essendo in prigione. Noi non ci limitiamo a piangerli ma continuiamo a lottare. Gli omicidi dei lavoratori non sono altro che il prezzo pagato dagli sfruttati sull’altare del profitto. Essi sono il prodotto del capitalismo industriale, il capitalismo “buono” che viene spesso contrapposto a quello “cattivo” della finanza e delle banche. Tuttavia ci opporremo con forza a che si facciano nuove leggi che concedono ancor più l’impunità ai padroni assassini.
Anni di delega a partiti e sindacati che riconoscono la legittimità del profitto non hanno risolto i nostri problemi. La nostra esperienza ci dimostra che solo partecipando in prima persona, organizzandoci sui nostri interessi, la battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani e la distruzione della natura può avere una prospettiva di vittoria.
Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, non basta lottare per conquistarli: in questa società i diritti vanno difesi e riconquistati ogni giorno.
Il presidente del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”
Michele Michelino
Commento by AutoOrgScala — 6 Gennaio 2010 @ 22:34
gio 7 dic 2009
Sfruttamento, inquinamento e sostanze cancerogene: non esiste nessun limite accettabile o soglia di tolleranza
La società in cui viviamo considera normale che degli esseri umani perdano la vita o subiscano gravi infortuni sul lavoro con invalidità permanenti, e si preoccupa solo di contenere le perdite entro limiti considerati “accettabili” per non urtare l’opinione pubblica. In nome del profitto e dello sfruttamento del lavoro salariato, gli operai, i lavoratori continuano a morire sul lavoro e di lavoro. Per anni datori di lavoro e dirigenti – pur sapendo che certe sostanze cancerogene avrebbero avuto conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori – nella ricerca del massimo profitto non si sono fatti scrupoli, risparmiando anche sui pochi spiccioli per la sicurezza. Le sostanze cancerogene fatte usare nei processi industriali, sui luoghi di lavoro, dagli operai senza alcuna protezione da dirigenti e datori di lavoro che, pur sapendo dei rischi, nascondevano ai lavoratori i pericoli mortali a cui andavano incontro (come nel caso dell’amianto), hanno provocato gravi danni umani, sociali, ambientali.
Ogni anno migliaia di vite umane vengono sacrificate in una guerra non dichiarata che vede morti e feriti solo da parte operaia, da chi al mattino esce di casa per guadagnarsi da vivere e – spesso – a sera non ritorna . Ecco in sintesi le cifre di questa guerra:
1.300 lavoratori in Italia ogni anno vengono assassinati sui posti di lavoro o perdono la vita a causa degli infortuni sul lavoro, a cui vanno aggiunti altre 4 mila vittime delle malattie professionali.
Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono oltre 120.000 i decessi causati ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto. Anche i dati forniti dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto, che si è tenuta in Giappone nel 2004, parlano di oltre 70.000 persone che muoiono per cancro polmonare e circa 44.000 per mesotelioma pleurico.
L’amianto come tutte le sostanze cancerogene modifica la molecola del DNA delle cellule dell’organismo umano causando rotture o mutazioni chimiche, provocando malfunzionamento che sono all’origine dei tumori. Quindi non esistono soglie di sicurezza o tolleranza alle sostanze cancerogene. Anche una sola fibra di amianto può generare il mesotelioma. Per gli inquinanti cancerogeni non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio. Come movimento operaio e popolare noi siamo per il rischio zero e dobbiamo lottare per imporlo ai padroni. Non possiamo accettare sotto il ricatto del posto di lavoro di rimetterci la salute e la vita, e proprio per questo serve l’organizzazione.
Molti di noi sanno per propria esperienza, e per i segni che portano nel corpo, che l’amianto ha creato e continua a creare gravi danni dal punto di vista umano, sanitario e ambientale; tuttavia questa verità trova molte resistenze ad essere riconosciuta. Le lotte di operai, lavoratori e cittadini che in questi anni si sono auto organizzati in Comitati e Associazioni hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendoli” a perseguire i responsabili e ottenendo in alcuni, pochi casi, un briciolo di giustizia. Tuttavia ancora molto rimane da fare
Governi e istituzioni che riconoscono come legittimo il profitto, che arrivano a legalizzare punendo con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro, dimostrano la loro natura di classe e di essere al servizio solo di una parte ben precisa di cittadini: quella degli industriali responsabili di queste stragi operaie. Per troppi anni le istituzioni hanno tollerato e coperto questi omicidi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Senza rispetto per la vita umana, gli operai, i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti sul territorio, se non si eliminano bonificandolo, ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Dobbiamo fare in modo che chi partecipa ai vari convegni delle associazioni – medici, ricercatori, tecnici, giudici, sindacalisti, politici o altro – prenda degli impegni ed esigere che vengano rispettati e non, come succede spesso, i dibattiti sull’argomento siano semplicemente una passerella.
Noi siamo contro la monetizzazione della salute e della vita umana e non possiamo accettare la “normalità” dei morti sul lavoro e di lavoro e che la nostra vita sia valutata da un tribunale dopo che ci siamo ammalati o morti.
Anche se non ci facciamo illusioni continuiamo a denunciare lo Stato Italiano che, non rispettando neanche la costituzione e spendendo miliardi di soldi pubblici per finanziare speculatori, banche, imprese a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, è al servizio di una sola categoria di cittadini, quelli della classe borghese.
Il capitalismo, il sistema imperialista, nella ricerca del massimo profitto e dell’acuirsi della concorrenza commerciale, genera continuamente nuove guerre, armi di distruzione di massa e tecnologie che – inserite nel processi lavorativi e di produzione – portano nuove malattie e morte.
La crisi ha evidenziato una sostanziale identità di interessi fra i rappresentanti di “destra” e di “sinistra” del capitale nella difesa del sistema. Il capitalismo – anche quando rispetta e non trasgredisce le sue leggi, essendo basato sullo sfruttamento e sull’espropriazione dell’operaio, del lavoratore individuale e collettivo – rapina “normalmente” i proletari. Non abbiamo mai visto in Italia un padrone andare in galera per aver assassinato i lavoratori.
Pensare di eliminare i morti sul lavoro e di lavoro sulla base dell’attuale sistema di produzione è come pensare di essere liberi pur essendo in prigione. Noi non ci limitiamo a piangerli ma continuiamo a lottare. Gli omicidi dei lavoratori non sono altro che il prezzo pagato dagli sfruttati sull’altare del profitto. Essi sono il prodotto del capitalismo industriale, il capitalismo “buono” che viene spesso contrapposto a quello “cattivo” della finanza e delle banche. Tuttavia ci opporremo con forza a che si facciano nuove leggi che concedono ancor più l’impunità ai padroni assassini.
Anni di delega a partiti e sindacati che riconoscono la legittimità del profitto non hanno risolto i nostri problemi. La nostra esperienza ci dimostra che solo partecipando in prima persona, organizzandoci sui nostri interessi, la battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani e la distruzione della natura può avere una prospettiva di vittoria.
Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, non basta lottare per conquistarli: in questa società i diritti vanno difesi e riconquistati ogni giorno.
Il presidente del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”
Michele Michelino
Commento by AutoOrgScala — 6 Gennaio 2010 @ 22:34
gio 7 dic 2009
Sfruttamento, inquinamento e sostanze cancerogene: non esiste nessun limite accettabile o soglia di tolleranza
La società in cui viviamo considera normale che degli esseri umani perdano la vita o subiscano gravi infortuni sul lavoro con invalidità permanenti, e si preoccupa solo di contenere le perdite entro limiti considerati “accettabili” per non urtare l’opinione pubblica. In nome del profitto e dello sfruttamento del lavoro salariato, gli operai, i lavoratori continuano a morire sul lavoro e di lavoro. Per anni datori di lavoro e dirigenti – pur sapendo che certe sostanze cancerogene avrebbero avuto conseguenze gravissime sulla salute dei lavoratori – nella ricerca del massimo profitto non si sono fatti scrupoli, risparmiando anche sui pochi spiccioli per la sicurezza. Le sostanze cancerogene fatte usare nei processi industriali, sui luoghi di lavoro, dagli operai senza alcuna protezione da dirigenti e datori di lavoro che, pur sapendo dei rischi, nascondevano ai lavoratori i pericoli mortali a cui andavano incontro (come nel caso dell’amianto), hanno provocato gravi danni umani, sociali, ambientali.
Ogni anno migliaia di vite umane vengono sacrificate in una guerra non dichiarata che vede morti e feriti solo da parte operaia, da chi al mattino esce di casa per guadagnarsi da vivere e – spesso – a sera non ritorna . Ecco in sintesi le cifre di questa guerra:
1.300 lavoratori in Italia ogni anno vengono assassinati sui posti di lavoro o perdono la vita a causa degli infortuni sul lavoro, a cui vanno aggiunti altre 4 mila vittime delle malattie professionali.
Secondo l’Ufficio Internazionale del Lavoro, sono oltre 120.000 i decessi causati ogni anno da tumori provocati dall’esposizione all’amianto. Anche i dati forniti dalla Conferenza Mondiale sull’Amianto, che si è tenuta in Giappone nel 2004, parlano di oltre 70.000 persone che muoiono per cancro polmonare e circa 44.000 per mesotelioma pleurico.
L’amianto come tutte le sostanze cancerogene modifica la molecola del DNA delle cellule dell’organismo umano causando rotture o mutazioni chimiche, provocando malfunzionamento che sono all’origine dei tumori. Quindi non esistono soglie di sicurezza o tolleranza alle sostanze cancerogene. Anche una sola fibra di amianto può generare il mesotelioma. Per gli inquinanti cancerogeni non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio. Come movimento operaio e popolare noi siamo per il rischio zero e dobbiamo lottare per imporlo ai padroni. Non possiamo accettare sotto il ricatto del posto di lavoro di rimetterci la salute e la vita, e proprio per questo serve l’organizzazione.
Molti di noi sanno per propria esperienza, e per i segni che portano nel corpo, che l’amianto ha creato e continua a creare gravi danni dal punto di vista umano, sanitario e ambientale; tuttavia questa verità trova molte resistenze ad essere riconosciuta. Le lotte di operai, lavoratori e cittadini che in questi anni si sono auto organizzati in Comitati e Associazioni hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendoli” a perseguire i responsabili e ottenendo in alcuni, pochi casi, un briciolo di giustizia. Tuttavia ancora molto rimane da fare
Governi e istituzioni che riconoscono come legittimo il profitto, che arrivano a legalizzare punendo con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro, dimostrano la loro natura di classe e di essere al servizio solo di una parte ben precisa di cittadini: quella degli industriali responsabili di queste stragi operaie. Per troppi anni le istituzioni hanno tollerato e coperto questi omicidi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Senza rispetto per la vita umana, gli operai, i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti sul territorio, se non si eliminano bonificandolo, ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Dobbiamo fare in modo che chi partecipa ai vari convegni delle associazioni – medici, ricercatori, tecnici, giudici, sindacalisti, politici o altro – prenda degli impegni ed esigere che vengano rispettati e non, come succede spesso, i dibattiti sull’argomento siano semplicemente una passerella.
Noi siamo contro la monetizzazione della salute e della vita umana e non possiamo accettare la “normalità” dei morti sul lavoro e di lavoro e che la nostra vita sia valutata da un tribunale dopo che ci siamo ammalati o morti.
Anche se non ci facciamo illusioni continuiamo a denunciare lo Stato Italiano che, non rispettando neanche la costituzione e spendendo miliardi di soldi pubblici per finanziare speculatori, banche, imprese a scapito della salute dei lavoratori e dei cittadini, è al servizio di una sola categoria di cittadini, quelli della classe borghese.
Il capitalismo, il sistema imperialista, nella ricerca del massimo profitto e dell’acuirsi della concorrenza commerciale, genera continuamente nuove guerre, armi di distruzione di massa e tecnologie che – inserite nel processi lavorativi e di produzione – portano nuove malattie e morte.
La crisi ha evidenziato una sostanziale identità di interessi fra i rappresentanti di “destra” e di “sinistra” del capitale nella difesa del sistema. Il capitalismo – anche quando rispetta e non trasgredisce le sue leggi, essendo basato sullo sfruttamento e sull’espropriazione dell’operaio, del lavoratore individuale e collettivo – rapina “normalmente” i proletari. Non abbiamo mai visto in Italia un padrone andare in galera per aver assassinato i lavoratori.
Pensare di eliminare i morti sul lavoro e di lavoro sulla base dell’attuale sistema di produzione è come pensare di essere liberi pur essendo in prigione. Noi non ci limitiamo a piangerli ma continuiamo a lottare. Gli omicidi dei lavoratori non sono altro che il prezzo pagato dagli sfruttati sull’altare del profitto. Essi sono il prodotto del capitalismo industriale, il capitalismo “buono” che viene spesso contrapposto a quello “cattivo” della finanza e delle banche. Tuttavia ci opporremo con forza a che si facciano nuove leggi che concedono ancor più l’impunità ai padroni assassini.
Anni di delega a partiti e sindacati che riconoscono la legittimità del profitto non hanno risolto i nostri problemi. La nostra esperienza ci dimostra che solo partecipando in prima persona, organizzandoci sui nostri interessi, la battaglia per la difesa della salute, contro lo sfruttamento degli esseri umani e la distruzione della natura può avere una prospettiva di vittoria.
Non basta che i diritti siano scritti sulla carta, non basta lottare per conquistarli: in questa società i diritti vanno difesi e riconquistati ogni giorno.
Il presidente del “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”
Michele Michelino
Commento by AutoOrgScala — 6 Gennaio 2010 @ 22:34
Seconda Conferenza Nazionale sull’amianto “Amianto e Giustizia”
Relazione del 4° gruppo di lavoro: “Risarcire le vittime, riconoscere
gli esposti”
1. Relazione introduttiva del coordinatore Pierluigi Sostaro.
La legge 257, con la quale tra l’altro si riconosceva un
“risarcimento” previdenziale ai lavoratori esposti all’amianto, era
del 1992. Già nei primi anni di applicazione si sono manifestate 2
dinamiche contrapposte: Confindustria, partiti ad essa sensibili, INPS
e INAIL hanno cercato di ridimensionare la sua portata; associazioni
di esposti all’amianto, settori di sindacato e parlamentari attenti a
questo grave problema hanno operato per estendere i riconoscimenti là
dove la 257 aveva dei limiti: criteri garantisti ed equi per
determinare l’esposizione, estensione del riconoscimento anche ai
lavoratori esposti per meno di 10 anni, applicazione della norma a
chi si era dimesso prima del 1992. Intorno a questi obiettivi si è
sviluppato il movimento dei lavoratori esposti.
Negli ultimi anni la legislazione è peggiorata nettamente: sono stati
introdotti criteri assurdi per il riconoscimento dell’esposizione (le
100 fibre/ litro come media annua calcolata su 8 ore /giorno), il
coefficiente moltiplicatore è stato tagliato da 1,5 a 1,25 e reso
valido solo ai fini della determinazione dell’importo della pensione,
non della maturazione del diritto di accesso (monetizzazione); è stato
infine stabilito il termine ultimo della presentazione delle domande
al 15 giugno 2005: una pietra tombale.
Ancora nel 2006 un folto gruppo di senatori (primo firmatario Casson)
presentò un disegno di legge organico per superare i problemi rimasti
insoluti: risarcimento delle vittime, estensione del riconoscimento
dell’esposizione, programma di tutela sanitaria, bonifiche ambientali.
Di quel progetto organico, l’unico punto accolto dal governo Prodi
nella Finanziaria 2008 concerneva il risarcimento delle vittime; fu un
riconoscimento solo virtuale: a tutt’oggi neanche un centesimo è stato
erogato.
Il quadro istituzionale decisamente negativo non è riuscito tuttavia a
seppellire la realtà del dramma crescente dell’amianto. Gli interventi
della giornata di venerdì, le relazioni di sabato mattina hanno
riferito dell’aumento vertiginoso dei casi di malattie asbesto
correlate. Hanno testimoniato anche dell’emergere di nuovi movimenti
sia nei luoghi di lavoro (ad esempio, il teatro alla Scala di Milano)
che sul territorio (Comitati contro le discariche di amianto e per la
bonifica di siti inquinati).
Alla luce di questi fatti, propongo al gruppo di lavoro di discutere
avendo l’obiettivo non di raccogliere le briciole di quanto è rimasto
sulla tavola in tema di risarcimenti e di riconoscimento delle
esposizioni, ma di estendere le tutele per far fronte alle nuove,
cresciute dimensioni dei danni provocati dall’amianto.
2. Gli interventi.
Hanno preso la parola 15 partecipanti al gruppo di lavoro. Difficile
verbalizzare (senza chiedere conferma a ciascuno) quanto è stato
detto; azzardo una sintesi:
Diversi interventi hanno segnalato nuove realtà produttive in cui i
lavoratori si sono trovati o si troveranno esposti alle fibre di
amianto: oltre alla già citata Scala, i lavori di scoibentazione e
bonifica, le ristrutturazioni pesanti di impianti industriali, le
demolizioni di impianti per cambi di destinazione d’uso, lavori in
appalti all’estero, cantieri navali, marittimi imbarcati. In queste
realtà spesso operano lavoratori extracomunitari, verso i quali è
forte la tentazione di non applicare tutte le precauzioni e le tutele
previste.
Le disparità di trattamento dei lavoratori rispetto al riconoscimento
della loro esposizione all’amianto, è stata esemplificata e discussa
animatamente. Alla fine si è concordato che va superata la logica
degli “atti di indirizzo” per arrivare a soluzioni da applicare a
tutti i lavoratori, senza discriminazioni di nessun tipo (geografiche,
di mansione, di realtà produttive pubbliche o private).
Un altro nodo di problemi affrontati: come riproporre gli obiettivi di
tutela in una situazione di difficoltà per il movimento dei
lavoratori. Gli interventi hanno approfondito diversi aspetti: le
motivazioni “morali” per la riapertura della “pratica amianto”, la
dimensione collettiva insita nei movimenti di lotta, la possibilità di
ricorsi legali individuali e/o di gruppo, il ricorso ad atti
amministrativi nei confronti di INAIL e INPS, una strategia di ricorsi
legali avverso le recenti leggi dello Stato italiano davanti alla
Corte di Giustizia europea.
Non si deve lasciarsi condizionare dalle sirene del “sano realismo”
nella crisi e autolimitare gli obiettivi: la salute è un bene
primario che va salvaguardato in ogni circostanza, le risorse devono
essere trovate. E’ inaccettabile che l’INAIL regali al Ministero
della Finanze 12 miliardi di €, che non batta ciglio di fronte ad una
evasione contributiva dell’assicurazione supplementare obbligatoria
contro l’asbestosi del 93 (novantatre) %!
Infine, sulle tematiche dei risarcimenti alle vittime dell’amianto, da
una parte si è riaffermata la necessità di estenderli a tutte le
malattie asbesto correlate, dall’altra si è proposto di fornire alle
vittime o ai loro familiari il sostegno legale gratuito.
3. Sintesi del lavoro del 4° gruppo: relazione domenica 8 novembre.
Il coordinatore ha esposto all’assemblea plenaria una sintesi della
relazione e degli interventi, ed ha letto il testo del documento
finale che si riporta di seguito.
La proposta che il gruppo di lavoro avanza alla Conferenza è di
rilanciare la mobilitazione contro l’amianto e i suoi effetti sulla
salute dei lavoratori e dei cittadini, attraverso una pluralità di
iniziative:
· Sul piano indispensabile e fondamentale delle lotte
· Nel confronto con le Istituzioni (Legislatore, Governo,
Regioni, Enti come INAIL e INPS)
· Facendo valere i diritti mediante il ricorso alla Magistratura.
4. Documento finale. Risarcire le vittime, riconoscere gli esposti
Torino, 08 novembre 2009
Il gruppo di lavoro dopo ampia discussione converge sui seguenti punti:
1) Per quanto riguarda i cosiddetti benefici contributivi ex
art. 13, comma 8, Legge 257/92, come è anche nello spirito del
legislatore, ritiene che il termine “benefici” vada puntualizzato con
quello più corretto di “parziale risarcimento”. Essere stati esposti
all’amianto è un danno e non un privilegio. Pertanto, sulla base
dell’esperienza pratica suffragata anche delle argomentazioni
giuridiche, precisa che non c’è alcun limite di durata e di soglia di
esposizione, né decadenze. Quindi, ci batteremo ancora per eliminare
le soglie di esposizione a chi è stato vittima, come le 100 fibre
litro, la durata (più di 10 anni) e i termini di domanda.
Tali termini per le domande di riconoscimento dei benefici
contributivi per esposizione all’amianto sono del tutto illegittimi,
discriminatori e lesivi dei diritti individuali della carta
Costituzionale e dalle leggi Europee.
Sono del tutto inaccettabili le discriminazioni di cui risultano
vittime i pensionati ante’92, che sono tra i più esposti.
Ci battiamo affinchè la maggiorazione contributiva valga sempre e
comunque per maturare anticipatamente il diritto alla prestazione
pensionistica, sempre e per tutti i lavoratori, con il moltiplicatore
di 1,5, con anticipazione temporale pari al 50% del periodo di
esposizione.
Ci battiamo affinchè venga meno qualsiasi discriminazione di tipo
geografico, di mansioni, di attività produttive (lavoratori pubblici e
privati).
Riteniamo che è più che mai aperta la partita di riconoscimento
dell’esposizione in nuove realtà (teatro alla scala di Milano, settore
delle bonifiche, ristrutturazioni importanti di impianti industriali,
cantieri all’estero ed eventuali situazioni al momento non ancora
conosciute o valutate).
Riteniamo che eventuali crisi economiche, o deficit di bilancio, non
valgano a giustificare la negazione dei sacrosanti diritti dei
lavoratori esposti e vittime dell’amianto.
2) …
Commento by AutoOrgScala — 12 Gennaio 2010 @ 22:12
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