Il Sottoscala Per Abbado un Albero in Piazza Scala

9 Giugno 2010

Modifche al decreto Bondi sulle fondazioni liriche. Senato: resoconto sommario del 08/06/2010 e 09/06/2010

Filed under: Uncategorized — Tag: — Lavoratoriscala @ 22:48

Senato della Repubblica  Per le fondazioni liriche è stata disposta la riduzione del solo 5% (in luogo del previsto 50%) del contratto integrativo e l'aumento dal 15% al 20% delle assunzioni a tempo determinato.

Legislatura 16º – 7ª Commissione permanente – Resoconto sommario del 08/06/2010 e 09/06/2010.

(2150) Conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, recante disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali.

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Riprende l'esame sospeso nella seduta antimeridiana

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Martedì 8 giugno 2010, n. 216 (17.35 – 20)

Seduta n. 217 (antimeridiana) e n° 218

Mercoledì 9 giugno 2010, n. 217
(12.00 – 13.30)
 


Mercoledì 9 giugno 2010, n. 218
(14.20 – 15.00)

Resoconto sommario n. 218 del 09/06/2010   Fai click per chiudere questa voceDocumento completo (15K)

IN SEDE REFERENTE
 

Confindustria Cultura Italia: 300mila addetti, 17mila imprese, 16 mld. di euro

MILANO – 9 GIUGNO 2010 – “Il settore della cultura, è un comparto industriale vero e proprio, in grado di generare profitto e creare occupazione” –

Fiorenzo Grassi, vicepresidente nazionale di Agis e presidente dell’Unione regionale della Lombardia, ha sottolineato come anche le imprese di spettacolo puntino su tecnologia e innovazione e utilizzino le più sofisticate tecnologie digitali. Sui recenti tagli finanziari inclusi nella manovra economica riguardanti il comparto spettacolo, Grassi, pur dicendosi d’accordo con la presidente Marcegaglia sul fatto che tutti debbano essere pronti a fare sacrifici, ha ricordato come il mondo dello spettacolo non goda, come altri settori, di ammortizzatori sociali e come le restrizioni statali mettano a rischio il lavoro di circa duecentomila persone e di altre migliaia che operano nell’ indotto.

articolo completo

http://www.giornaledellospettacolo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5034&Itemid=1

14 Comments

  1. Teatro, dopo Pirandello e Totò chiude il Valle

    «In nessun altro paese d'Europa al cultura è considerata un bene trascurabile. Noi siamo educati e disposti a qualche sacrificio per la crisi, ma non alle amputazioni. Auguriamoci che le nostre parole vengano ascoltate, perchè ci sono molti modi per farsi sentire». Con la voce un po' tremante, ma ferma e più che decisa nelle intenzioni, Franca Valeri sale sul palco del teatro Valle di Roma e avvisa «il gran chirurgo» che «i tumori da amputare sono ben altri» che la cultura. E la platea, piena fino al quinto ordine di galleria di artisti e spettatori di tutte le età, si alza in piedi in un entusiasta ovazione. Oggi la signora del palcoscenico è eccezionalmente capopopolo nella serata organizzata in difesa dell'Eti, l'unico organismo pubblico nazionale di promozione del teatro e della danza.Un decreto del 31 maggio, seguito ai tagli della manovra, lo ha di fatto soppresso, lasciando in un limbo i suoi 145 lavoratori, il teatro Valle, il Duse e La Pergola che gestisce, ma soprattutto il futuro di tutti i suoi progetti nazionali e internazionali. Mentre un letto di corpi 'mortì distesi a terra dal foyer al palcoscenico con un volantino ripetuto «cultura – omicidio di Stato», uno dopo l'altro sul palco del Valle sono saliti a protestare il direttore generale dell'Eti, Ninni Cutaia, Pamela Villoresi («oggi nella discussione in parlamento neanche sapevano cosa fosse l'Eti», dice), Luigi De Filippo, Mariano Rigillo («qui si vuole mettere le mani non solo nelle tasche ma anche nelle teste degli italiani»), Maurizio Scaparro («rischiamo una repubblica fondata sul mercato e non più sul lavoro») e molti che qui hanno debuttato come Sergio Castellitto e Geppy Gleijese, che lo scorso anno dall'Eti ha rilevato il teatro Quirino. Perchè si vuole chiudere l'Eti? Perchè si vuole dare ancora non si sa a chi un teatro come il Valle che è il primo in Italia per spettatori paganti?Risponde Roberto Andò: «Quello che rischia di restare di questo paese è la cartaccia – denuncia il regista – in questo momento il simbolo dell'Italia sembra essere la monnezza e su questa qualcuno vorrebbe costruire un progetto». Sul palco sono saliti anche gli assessori Giulia Rodano e il senatore del Pd Vincenzo Vita («non ci importa di mettere una targhetta a questa battaglia. Basta che questo decreto venga annullato», dice), oltre a Silvano Conti della Cgil che provocatoriamente dichiara: «io dei lavoratori non mi preoccupo perchè in una situazione di rottamazione una soluzione si trova. Il problema è che qui viene attaccato e destrutturato il sistema cultura, mentre nel resto d'Europa e anche negli Stati Uniti è sull'istruzione, sull'innovazione e sulla cultura che si investe per uscire dalla crisi». Ad applaudire in platea, tra gli altri, Alessandro Haber, Giuliana Lojodice, Massimo Ghini, Luca De Fusco, Alba Rohrwacher, Anita Bartolucci, Anna Mazzamauro. Dalla galleria intanto un cartello recita: «Dopo 300 anni il Valle chiude. Tremonti, sai chi c'è stato qui? Pirandello, De Filippo, Gassman, Tognazzi, Peter Brook, Totò, Manfredi…».

    10 giugno 2010

    Commento by anonimo — 10 Giugno 2010 @ 07:35

  2. da il manifesto 10 6 2010

     Renato Nicolini

     
    Tagli alla cultura, proteste deboli

     

    La manifestazione in difesa della cultura convocata dai sindacati a Piazza Navona mi è sembrata purtroppo inadeguata. Se si vuole vincere bisogna combattere contro i motivi, non fermarsi agli effetti. Il taglio della cultura è come Gulliver: un gigante per Lilliput (il Fus), un nano per Brobdignac (la finanziaria "lacrime e sangue"). Cosa sono poche centinaia di milioni di euro di fronte a 25 miliardi? Il governo ha scelto di dare valore rituale, una specie di sacrificio di Ifigenia perché il vento torni a soffiare sulle vele greche, ai tagli alla cultura. Tremonti annuncia la soppressione dei finanziamenti a tutti gli Enti culturali; l'Eti è soppresso; Bondi mette il broncio; e il taglio è dimezzato (non revocato). A (cattivo) spettacolo non si risponde con spettacolo, non bastano i giovani del Csc che impavidi si sdraiano sotto il sole di piazza Navona alle tre del pomeriggio. Il messaggio del governo fa appello più al sentimento che alla ragione, ma è un messaggio brigatista: colpirne uno per educarne cento. Attori, registi, uomini di spettacolo; magistrati, professori universitari, star e archistar, forse i calciatori: ecco la controlista Anemone. Allo scandalo di una logica incestuosa di potere che mescola edilizia con politica, favori e appalti, protezione civile ed eventi sotto l'insegna della legislazione d'emergenza, si contrappongono i presunti privilegiati d'Italia. Non chi esporta capitali all'estero, e poi li rimpatria pagando il 5% e li riusa spregiudicatamente. Non chi rimpatria il proprio stesso yacht. Non i festaioli di palazzo Grazioli e di villa Certosa. Ma chi si sforza di pensare e magari di sorridere. Il messaggio è molto chiaro. Il vero privilegio è la cultura. Che per Tremonti non fa più parte del campo dell'innovazione, della ricerca e della formazione: alla base dei valori condivisi e della competitività internazionale dell'Italia. Per Tremonti e Berlusconi è espressione del lusso, deboscia di intellettuali solitari e solipsisti, minoranza per di più sconfitta. Basta pensare al ruolo che hanno avuto le iniziative promosse dai comuni nel '77, nel '78, nel '79, nel cuore degli anni di piombo, per capire quanto questa tesi, oltre che falsa, sia pericolosa per la democrazia. L'essenza della democrazia non è tanto il voto quanto la difesa del diritto delle minoranze all'espressione. E sono state le minoranze underground di Roma, i filmclub, le cantine teatrali, i club jazz, a inventare la grande festa, libera e popolare dell'estate romana, che ha prodotto eventi culturali internazionali come Castelporziano, la città del teatro, il Napoleon al Colosseo. Una cultura di maggioranza, misurata in termini di audience e budget pubblicitario, oltre Orwell, è l'opposto di quello che serve a un paese come l'Italia: che ha al contrario una lunga esperienza, variata e intrecciata, di pluralismo, di diplomazia, di equilibrio, di policentrismo, di conflitto, di dissenso (e, ahimé, anche – sul lato opposto – di opportunismo, voltaggana servilismo). Non so in che altro modo l'Italia possa affrontare la competizione in atto oggi, con molte nuove entrate nel club delle grandi nazioni, se non proponendosi come fabbrica dell'immaginario di rango mondiale. Il nostro (residuo) paesaggio, i nostri (residui) beni culturali, la nostra (residua) creatività, il mercato che tutto questo ha generato (il made in Italy cos'altro è…) ci autorizza a farlo. La cultura potrebbe essere un grande volano dagli effetti immediati per la nostra economia, a costi relativamente bassi genera occupazione e indotto, dalla vita notturna al turismo. Non penso solo al teatro e allo spettacolo, ma all'educazione musicale (che potrebbe essere una caratteristica del nostro paese…), all'industria della fiction e degli audiovisivi, alle nuove connessioni che si potrebbero aprire con il web, con musei come il Maxxi di Roma, con eventi come «Rai per una Notte». Se addirittura si volesse investire, le connessioni con la formazione, la ricerca e l'innovazione coincidono proprio con quello che servirebbe all'Italia per ritrovare quei contatti – che si stanno perdendo – con l'eccellenza del mercato e per restaurare il paesaggio e la vita delle nostre città.Poco o nulla di questo, senza far torto agli organizzatori (che comunque vorrei ringraziare), ho trovato a piazza Navona. Ho trovato paradossale che, più che dei tagli e della stessa soppressione dell'Eti, non si parlasse della Rai. Senza una Rai libera non ci sarà mai una cultura libera in Italia. Se, in un colpo solo, si liberasse di Consiglio d'amministrazione e di Commissione di vigilanza, fissando le regole di un concorso pubblico per il suo amministratore unico… La Rai rimossa, però, è così entrata nella testa degli organizzatori (l'apparizione in piazza di Christian De Sica e Renato Zero li ha mandati in fibrillazione), da diffondere un effetto talk show, del tutto contraddittorio per una manifestazione che dovrebbe lanciare un messaggio. Ho trovato molto strano che sul palco non campeggiasse in caratteri cubitali il costo che gli italiani hanno dovuto pagare per il digitale terrestre, unica vera iniziativa dell'attuale governo in campo culturale, oltre alla voglia di cacciare dai nostri teleschermi Santoro e Dandini e a far diventare la scoperta della procura di Trani «l'editto di Trani». Non si può vincere se non si sa cosa davvero è in gioco. <br style="margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; …

    Commento by anonimo — 10 Giugno 2010 @ 07:57

  3. da il manifesto 10 6 2010

     Renato Nicolini

     
    Tagli alla cultura, proteste deboli

     

    La manifestazione in difesa della cultura convocata dai sindacati a Piazza Navona mi è sembrata purtroppo inadeguata. Se si vuole vincere bisogna combattere contro i motivi, non fermarsi agli effetti. Il taglio della cultura è come Gulliver: un gigante per Lilliput (il Fus), un nano per Brobdignac (la finanziaria "lacrime e sangue"). Cosa sono poche centinaia di milioni di euro di fronte a 25 miliardi? Il governo ha scelto di dare valore rituale, una specie di sacrificio di Ifigenia perché il vento torni a soffiare sulle vele greche, ai tagli alla cultura. Tremonti annuncia la soppressione dei finanziamenti a tutti gli Enti culturali; l'Eti è soppresso; Bondi mette il broncio; e il taglio è dimezzato (non revocato). A (cattivo) spettacolo non si risponde con spettacolo, non bastano i giovani del Csc che impavidi si sdraiano sotto il sole di piazza Navona alle tre del pomeriggio. Il messaggio del governo fa appello più al sentimento che alla ragione, ma è un messaggio brigatista: colpirne uno per educarne cento. Attori, registi, uomini di spettacolo; magistrati, professori universitari, star e archistar, forse i calciatori: ecco la controlista Anemone. Allo scandalo di una logica incestuosa di potere che mescola edilizia con politica, favori e appalti, protezione civile ed eventi sotto l'insegna della legislazione d'emergenza, si contrappongono i presunti privilegiati d'Italia. Non chi esporta capitali all'estero, e poi li rimpatria pagando il 5% e li riusa spregiudicatamente. Non chi rimpatria il proprio stesso yacht. Non i festaioli di palazzo Grazioli e di villa Certosa. Ma chi si sforza di pensare e magari di sorridere. Il messaggio è molto chiaro. Il vero privilegio è la cultura. Che per Tremonti non fa più parte del campo dell'innovazione, della ricerca e della formazione: alla base dei valori condivisi e della competitività internazionale dell'Italia. Per Tremonti e Berlusconi è espressione del lusso, deboscia di intellettuali solitari e solipsisti, minoranza per di più sconfitta. Basta pensare al ruolo che hanno avuto le iniziative promosse dai comuni nel '77, nel '78, nel '79, nel cuore degli anni di piombo, per capire quanto questa tesi, oltre che falsa, sia pericolosa per la democrazia. L'essenza della democrazia non è tanto il voto quanto la difesa del diritto delle minoranze all'espressione. E sono state le minoranze underground di Roma, i filmclub, le cantine teatrali, i club jazz, a inventare la grande festa, libera e popolare dell'estate romana, che ha prodotto eventi culturali internazionali come Castelporziano, la città del teatro, il Napoleon al Colosseo. Una cultura di maggioranza, misurata in termini di audience e budget pubblicitario, oltre Orwell, è l'opposto di quello che serve a un paese come l'Italia: che ha al contrario una lunga esperienza, variata e intrecciata, di pluralismo, di diplomazia, di equilibrio, di policentrismo, di conflitto, di dissenso (e, ahimé, anche – sul lato opposto – di opportunismo, voltaggana servilismo). Non so in che altro modo l'Italia possa affrontare la competizione in atto oggi, con molte nuove entrate nel club delle grandi nazioni, se non proponendosi come fabbrica dell'immaginario di rango mondiale. Il nostro (residuo) paesaggio, i nostri (residui) beni culturali, la nostra (residua) creatività, il mercato che tutto questo ha generato (il made in Italy cos'altro è…) ci autorizza a farlo. La cultura potrebbe essere un grande volano dagli effetti immediati per la nostra economia, a costi relativamente bassi genera occupazione e indotto, dalla vita notturna al turismo. Non penso solo al teatro e allo spettacolo, ma all'educazione musicale (che potrebbe essere una caratteristica del nostro paese…), all'industria della fiction e degli audiovisivi, alle nuove connessioni che si potrebbero aprire con il web, con musei come il Maxxi di Roma, con eventi come «Rai per una Notte». Se addirittura si volesse investire, le connessioni con la formazione, la ricerca e l'innovazione coincidono proprio con quello che servirebbe all'Italia per ritrovare quei contatti – che si stanno perdendo – con l'eccellenza del mercato e per restaurare il paesaggio e la vita delle nostre città.Poco o nulla di questo, senza far torto agli organizzatori (che comunque vorrei ringraziare), ho trovato a piazza Navona. Ho trovato paradossale che, più che dei tagli e della stessa soppressione dell'Eti, non si parlasse della Rai. Senza una Rai libera non ci sarà mai una cultura libera in Italia. Se, in un colpo solo, si liberasse di Consiglio d'amministrazione e di Commissione di vigilanza, fissando le regole di un concorso pubblico per il suo amministratore unico… La Rai rimossa, però, è così entrata nella testa degli organizzatori (l'apparizione in piazza di Christian De Sica e Renato Zero li ha mandati in fibrillazione), da diffondere un effetto talk show, del tutto contraddittorio per una manifestazione che dovrebbe lanciare un messaggio. Ho trovato molto strano che sul palco non campeggiasse in caratteri cubitali il costo che gli italiani hanno dovuto pagare per il digitale terrestre, unica vera iniziativa dell'attuale governo in campo culturale, oltre alla voglia di cacciare dai nostri teleschermi Santoro e Dandini e a far diventare la scoperta della procura di Trani «l'editto di Trani». Non si può vincere se non si sa cosa davvero è in gioco. <br style="margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; …

    Commento by anonimo — 10 Giugno 2010 @ 07:57

  4. Alcuni commenti di altri blog

    La cultura, in tempi di crisi, se rimane dipendente dal mercato è costretta a prostituirsi completamente al ruolo di sottoprodotto del marketing. Gli artisti si trasformano in buffoni, le opere si degradano a facile intrattenimento, i direttori artistici si riducono a ricercatori di sponsor e promoters. La tendenza è ovunque questa. Pensare che il mondo della cultura possa fare da "volano dell'economia", come scrive Nicolini, in quanto made in Italy, è inconsistente: in realtà il mondo della cultura non può offire occupazione di massa, ciò che d'altronde vale per tutto il made in Italy. Senza contare che l'inesorablità della crisi, con queste posizioni nostalgiche dei bei tempi dei finanziamenti, contribuisce all'interpretazione populista della crisi, quella che vede colpevoli della crisi non le contraddizioni obiettive di questo modo di produzione ma il capitale finanziario e i banchieri, cioè i presunti "cattivi capitalisti", lato sporco del denaro. Il discorso di Nicolini così diventa lo stesso di quei sindacati che chiedono di accettare qualsiasi condizione di sfruttamento (in termini di carichi di lavoro e di bassi salari) e di ritenersi fortunati perchè così si risece a salvare il lavoro. Il risultato è inevitabilmente il paradigma reazionario della cogestione entro la comunità etnica. Certo, la situazione è grave, ma questa è una ragione in più per trovare altre argomentazioni, magari appellandosi a un discorso di 'battaglia di civiltà'. Soprattutto, il mondo dell'arte e della produzione di immaginario dovrebbe orientarsi verso la creazione di una soggettività critica. In questo senso, l'apporto di questo mondo sulle coscienze oggi è importantissimo. Ma pensare di sostenerlo entro le compatibilità di sistema è assai ingenuo. Risponderanno (se non erro lo ha fatto proprio giorni fa Tremonti a Ballarò) che in alternativa bisognerà smantellare la sanità. Infine, è sicuramente vero che oltre la diretta necessità determinata dalla crisi, quindi dal risparmiare e far cassa, si vuole colpire anche per un indiretto fine politico: un popolo ignorante e infantilizzato è facilmente asservibile e accontentabile. Inoltre c'è la volontà precisa di colpire Roma (vedi anche il voler colpire gli statali), città in cui la cultura rimane strategica, in tempi di tendenza alle chiusure regionalistiche e localistiche. Ulteriore dimostrazione (se mai ce ne fosse bisogno) dell'inettitudine di Alemanno che lascia andare in declino Roma dal fuoco amico. 09-06-2010 18:52 – lpz

    Gli "operatori della cultura" si possono classificare come in una qualsiasi altra impresa: presidenti, direttori, consulenti, dipendenti, precari.. Gli enti culturali raramente producono "profitto": cioè raramente si autosostengono solo con biglietti e merchandising. Quindi vivono grazie a finanziamenti pubblici e privati (fondazioni bancarie, fundrising…). Il pubblico (e il privato) finanziano la cultura ANCHE perchè produce occupazione e sviluppo economico. Che vengano sostenuti gli enti che producono occupazione stabile (tempo indeterminato) e vengano ignorati gli enti in cui il presidente guadagna come la Fracci, assume 2-3 cococpro a E1.300 lordi (1.000 netti)senza straordinari, indennità lavoro festivo, 13a, liquidazione..un cazzo! (io parlo per esperienza pluriennale) l'anno dopo li lascia a casa e se scioperano o si iscrivono al sindacato, anche prima. I professionisti non vanno messi in concorrenza con i volontari (associazioni, coop. ecc..). Non mi sembra di fare un discorso borghese o ideologico (che poi è la stessa cosa). 09-06-2010 18:50 – Fabrizio

    per murmillus io sarò tutto quello che dici pero' il problema è un altro: chi decide il valore di una rappresentazione, di un concerto, di una opera qualsiasi? il governo? anzi no, il Partito? il Ministero della Cultura Popolare di staraciana memoria? Goebbels redivivo? questi articoli sono scritti da gente o per gente che vede in pericolo il proprio stipendio, nè più nè meno degli operai che salgono sui tetti: solo che gli operai sui tetti o nelle ex carceri hanno la dignità di procamare apertamente ilsignificato e los copo delle loro lotte, questi "operatori della cultura" vogliono farsi passare per benefattori disinteressati, e questo è troppo. 09-06-2010 16:54 – aiace

    Aiace parla come al solito da pseudopragmatista paraleghista che non sa quel che dice. La cultura nei paesi dell'Est era finanzaiata dallo stato ed era considerata tra le piu' importanti del mondo. Faccio alcuni esempi per te altrimenti non sai di cosa parlo: Balletto, film, musica, teatro. Ora tutto e' quasi al tracollo. La cultura in USA, che Aiace, son sicuro, guarda come un esempio, e' solo quella che fa cassa, cioe' il cinema tipo Holliwood o il rock. Aiace la pochezza delle tue pseudoanalisi e' un vero classico della cultura dell'Italiano medio che non ha mai letto un libro. Una specie di Brunetta, tanto per intenderci. 09-06-2010 16:17 – murmillus

    Il combinato di terzo settore e legge 30 (legge Biagi) è terribile per gli operatori della cultura. Le associazioni e gli enti no-profit che ricevono contributi pubblici assumono prevalentemente con contratti non a tempo indeterminato (nonostante siano sotto i 15 dipendenti e quindi possano licenziare senza "giusta causa" differentemente da quanto tutelato nell'art18 dello Statuto dei Lavoratori). Le forze politiche della sinistra devono battersi nelle istituizioni perchè si inseriscano criteri per l'assegnazione di contributi pubblici che favoriscano chi assume a tempo indeterminato. TRADOTTO: più soldi a enti culturali pubblici o privati, SOLO se producono occupazione stabile. Gli altri enti possono anche morire, indipendentemente dal valore culturale del loro prodotto. Un precario della cultura. 09-06-2010 16:02 – Fabrizio

    Aiace non fare il mendace, ormai è cambiato tutto rispetto ai tempi che furono, una voltac'era la controcultura, poi la cultura alternativa e infine in questi anni televisivi c'è la cultura checerto non si attiva con i guadagni ma con la demercificazione e lo stato inteso come comunità può mantenere il livello sperimentale, anche se qualche volta c'è il rischio di autocensura. Quindi non si può privatizzare la cultura perchè sparirebbe nel puro spettacolo. 09-06-2010 15:11 – g.s.

    La cultura di questi tempi è come la panna acida. Nessuno la vuole,ma senza non si fa nulla di buono. Tutti vogliono lo sport e le trasmissioni demenziali dell'Endemol,che non fanno pensare,ma solo divagare. La cultura è passione. Arte e dolore. Leggere un libro russo o andare a vedere una commedia drammatica dove si parla di coscienza e di sentimenti è difficile e gravoso. Bondi e tutto il ministero sono propensi a educare i nostri giovani con del sano e divertente disimpegno culturale. Basta con le corazzate e le scalinate alla Fantozzi,ora ci educheremo con Passa Parola e con Rai educhescional. Le pupe e i secchioni stanno aspettando il nuovo pacchetto del ministero. Via il cinema neo realista. Via i Pasolini,Fellini,Rosi,Petri,De Sica (padre). Ora Bondi dopo aver chiesto a Topo Gigio di spiegarci l'igene,ha chiesto alle edizioni Panini di fare un album di storia d'Italia e a Topolino di raccontare la nuova costituzione che il suo capo ci sta preparando! Licio Celli,per fare tutto questo aveva architettato orrori e delitti. Dalle mafie alla Banda della Maiana.Dalle banche milanesi alla stazione di Bologna. Invece questo nanetto,con la sua banda di divertenti personaggi di governo,stanno attuando spensieratamente il vecchio proggetto. Grazie anche a una opposizione che non sa fare il suo mestiere. Dico che non sa fare il suo mestiere,per non dire che è collusa con i proggetti P2isti. Anche quando c'era Celli,parecchi uomini di sinistra erano nella sua lista! Ma meglio cosi.. Meglio che invece delle bombe ci siano i simpatici gnomi della politica. Brunetta al posto di Danilo Abbruciati. Tremonti al posto di Sindona. E il simpaticissimo nanetto di Arcore al posto del gelido e impescrutabile,Licio Celli. Ma si mandiamola tutta in canzonetta. Garibaldi era un mercenario e Mazzini un anarchico brigatista. Fate polpette del nostro paese! Ce lo meritiamo. 09-06-2010 13:52 – mariani maurizio

    il finanziamento pubblico alla lunga uccide la cultura perche' trasforma gli artisti in dipendenti pubblici preoccupati solo dei propri stipendi sicuri e garantiti a vita. Tutti i capolavori dell'arte, della musica, della letteratura hanno come autori persone che quasi sempre hanno dovuto affrontare difficoltà e battaglie prima di vedersi riconosciuti i loro …

    Commento by anonimo — 10 Giugno 2010 @ 12:32

  5. un uomo di destra contro il governo? …la definizione data ai politici ci scomvolge!Lirica: Zeffirelli furioso sui tagli: “I politici stiano lontani dai fatti d’arte” !Il regista ha presentato il Festival Lirico dell’Arena di Verona: ”Non si può ammettere che servi dello stato, anche di bassa cultura, vengano a prendere questi soldi e li mettano in spese varie”(Adnkronos) –

    Commento by AutoOrgScala — 11 Giugno 2010 @ 20:45

  6. Di destra o di sinistra dimostra ancora una volta di essere un vero Uomo di Teatro, sempre dalla parte  di chi in teatro ci lavora.

    Commento by anonimo — 12 Giugno 2010 @ 07:17

  7. Di destra o di sinistra dimostra ancora una volta di essere un vero Uomo di Teatro, sempre dalla parte  di chi in teatro ci lavora.

    Commento by anonimo — 12 Giugno 2010 @ 07:17

  8. da "Il Giornale della Musica"

    Soldi pochi interessi molti: dagli insufficienti 420 milioni di euro di quest'anno i finanziamenti dello Stato alle attività culturali nel 2011 crolleranno a 311 milioni di euro, di cui circa il 50% andrebbe ai teatri lirici. Bisogna partire da questo ulteriore taglio di fondi alla cultura del Governo di Berlusconi per capire lo scontro in atto intorno al decreto delle fondazioni lirico-sinfoniche, presentato dal Ministro per i beni e le attività culturali Sandro Bondi come riforma del dispendioso – secondo lui- settore lirico. In presenza di così esigui finanziamenti per la cultura (solo per l'Opéra de Paris la Francia spende 105 milioni di euro) il vero scontro è tra la produzione culturale e la circuitazione di spettacoli, certo meno dispendiosa ma provinciale e che nasconde non idilliaci interessi. Privo di un qualsiasi contenuto culturale che è premessa indispensabile per una riforma, nel colpire l'autonomia dei teatri e i lavoratori il decreto svuota le fondazioni lirico-sinfoniche, i grandi teatri lirici italiani dalla Scala al San Carlo, dal Maggio Fiorentino al Regio di Torino, trasformandone la maggior parte da centri produttivi in contenitori per la circuitazione. Il provvedimento concede un potere immenso a quello che appare una équipe di liquidatori: lo stesso Bondi e il suo entourage ministeriale. A loro discrezione l'erogazione dei pochi fondi: la scelta favorirà la creazione del consenso attraverso eventi di circuito possibilmente affidati alla mediazione di agenzie e di amici. L'opposizione di centrosinistra chiede il ritiro del decreto e con l'ostruzionismo parlamentare spera di far scadere i tempi tecnici della sua approvazione. Alla difesa dei teatri lirici però non corrisponde una proposta concreta. Da anni mancano gli studi sulla reale situazione dei teatri italiani, mentre i dati forniti dal Ministero appaiono opinabili e atti ufficiali come i bilanci sono dubbi: come mai nel nostro Paese ogni volta che si cambia sindaco e sovrintendente nel teatro d'opera della città, salta fuori qualche decina di milioni di euro di deficit? E come funzionano le cose all'estero? Malgrado tutti i malfunzionamenti e la valanga di problemi, merita ricordare che le fondazioni lirico-sinfoniche restano l'unica rete di produzione teatrale estesa su tutto il territorio: con questo decreto saranno appese al potere decisionale di pochi.

    Luca Del Fra

    Commento by anonimo — 13 Giugno 2010 @ 10:28

  9. da "Il Giornale della Musica"

    Soldi pochi interessi molti: dagli insufficienti 420 milioni di euro di quest'anno i finanziamenti dello Stato alle attività culturali nel 2011 crolleranno a 311 milioni di euro, di cui circa il 50% andrebbe ai teatri lirici. Bisogna partire da questo ulteriore taglio di fondi alla cultura del Governo di Berlusconi per capire lo scontro in atto intorno al decreto delle fondazioni lirico-sinfoniche, presentato dal Ministro per i beni e le attività culturali Sandro Bondi come riforma del dispendioso – secondo lui- settore lirico. In presenza di così esigui finanziamenti per la cultura (solo per l'Opéra de Paris la Francia spende 105 milioni di euro) il vero scontro è tra la produzione culturale e la circuitazione di spettacoli, certo meno dispendiosa ma provinciale e che nasconde non idilliaci interessi. Privo di un qualsiasi contenuto culturale che è premessa indispensabile per una riforma, nel colpire l'autonomia dei teatri e i lavoratori il decreto svuota le fondazioni lirico-sinfoniche, i grandi teatri lirici italiani dalla Scala al San Carlo, dal Maggio Fiorentino al Regio di Torino, trasformandone la maggior parte da centri produttivi in contenitori per la circuitazione. Il provvedimento concede un potere immenso a quello che appare una équipe di liquidatori: lo stesso Bondi e il suo entourage ministeriale. A loro discrezione l'erogazione dei pochi fondi: la scelta favorirà la creazione del consenso attraverso eventi di circuito possibilmente affidati alla mediazione di agenzie e di amici. L'opposizione di centrosinistra chiede il ritiro del decreto e con l'ostruzionismo parlamentare spera di far scadere i tempi tecnici della sua approvazione. Alla difesa dei teatri lirici però non corrisponde una proposta concreta. Da anni mancano gli studi sulla reale situazione dei teatri italiani, mentre i dati forniti dal Ministero appaiono opinabili e atti ufficiali come i bilanci sono dubbi: come mai nel nostro Paese ogni volta che si cambia sindaco e sovrintendente nel teatro d'opera della città, salta fuori qualche decina di milioni di euro di deficit? E come funzionano le cose all'estero? Malgrado tutti i malfunzionamenti e la valanga di problemi, merita ricordare che le fondazioni lirico-sinfoniche restano l'unica rete di produzione teatrale estesa su tutto il territorio: con questo decreto saranno appese al potere decisionale di pochi.

    Luca Del Fra

    Commento by anonimo — 13 Giugno 2010 @ 10:28

  10. se il centro sinistra fa ostruzionismo lo amo.al senato comunque non è stato presentato nessun emendamente di qualsiasi fottuto partito che potesse cambiare il comma 6 dell'art. 3 del decreto bondi cioè quello che vuole vanificare le cause dei precari. che schifo .i 130 della scala che stanno vincendo in primo grado le cause oggi saranno in grave pericolo fra due anni in appello. questo decreto è da abbattere come del resto tutto questo governo che vuol far pagare ai più poveri i giochi in borsa dei più ricchi.SE QUESTO PAESE HA ANCORA UN MINIMO DI ORGOGLIO LO TIRA GIù QUESTO GOVERNO DESPOTA -ps. nel frattempo la simpatica direzione della scala  ha già messo in pratica il decreto lasciando a casa  2 tecnici all'ansaldo dopo anni di contratti a termine per due ragazzi pagati a partita iva…..questo per far capire che la sovrintendenza sclaigera non è amica come qualcuno crede e spaccia dei lavoratori.il 21 giornata di lotta in vista dello sciopero generale del 25good night and good luck

    Commento by anonimo — 13 Giugno 2010 @ 22:36

  11. se il centro sinistra fa ostruzionismo lo amo.al senato comunque non è stato presentato nessun emendamente di qualsiasi fottuto partito che potesse cambiare il comma 6 dell'art. 3 del decreto bondi cioè quello che vuole vanificare le cause dei precari. che schifo .i 130 della scala che stanno vincendo in primo grado le cause oggi saranno in grave pericolo fra due anni in appello. questo decreto è da abbattere come del resto tutto questo governo che vuol far pagare ai più poveri i giochi in borsa dei più ricchi.SE QUESTO PAESE HA ANCORA UN MINIMO DI ORGOGLIO LO TIRA GIù QUESTO GOVERNO DESPOTA -ps. nel frattempo la simpatica direzione della scala  ha già messo in pratica il decreto lasciando a casa  2 tecnici all'ansaldo dopo anni di contratti a termine per due ragazzi pagati a partita iva…..questo per far capire che la sovrintendenza sclaigera non è amica come qualcuno crede e spaccia dei lavoratori.il 21 giornata di lotta in vista dello sciopero generale del 25good night and good luck

    Commento by anonimo — 13 Giugno 2010 @ 22:36

  12. A gran voce si è chiesto di incontrare monsieur Lissner.Lo hanno chiesto legittimamente i coristi supportati purtroppo dai filopadronali cislini.Costoro chiederanno misericordia?Si accontenteranno delle parole istrioniche di un francese con la pecca di aver fatto propri i vizi italici?Incomincia la battaglia politica!!!Se finisce la pazienza son cazzi per qualcuno.Viva L'Italia!!!W la France!!!Buona partita a tutti

    Commento by anonimo — 14 Giugno 2010 @ 22:52

  13. A gran voce si è chiesto di incontrare monsieur Lissner.Lo hanno chiesto legittimamente i coristi supportati purtroppo dai filopadronali cislini.Costoro chiederanno misericordia?Si accontenteranno delle parole istrioniche di un francese con la pecca di aver fatto propri i vizi italici?Incomincia la battaglia politica!!!Se finisce la pazienza son cazzi per qualcuno.Viva L'Italia!!!W la France!!!Buona partita a tutti

    Commento by anonimo — 14 Giugno 2010 @ 22:52

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    Commento by Abdo — 11 Luglio 2013 @ 17:52

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