Scala, caccia al socio privato «Servono fondi per il teatro»
La scelta di Podestà e l’urgenza delle nomine. Il valzer dei consiglieri. Polemiche per l’uscita di Micheli dal cda. «Un errore»
La caccia al nuovo socio privato (o soci, se la Provincia si sfila, ma tra oggi e domani si saprà), i fondi, lo statuto, i sindacati divisi, il contratto nazionale, il bilancio. E, soprattutto, i consiglieri di amministrazione. Quelli nuovi e quelli vecchi, quelli da rinnovare e quelli lasciati a casa (non senza polemiche, soprattutto in merito alla sostituzione di Francesco Micheli). Scala, si apre un’altra settimana difficile per il teatro più importante del mondo. Primo appuntamento e prima questione: il ruolo di Palazzo Isimbardi come socio fondatore dell’istituzione e «super contribuente» da tre milioni di euro all’anno. Già nei giorni scorsi il presidente Guido Podestà aveva confermato l’impegno a rimanere nel board scaligero «fermo restando il patto di stabilità e i problemi di bilancio». Tradotto: restiamo se ci sono i soldi. Nel giro di 48 ore – mancano un passaggio tecnico e uno politico – dovrebbe sciogliersi il nodo, ma ieri Podestà sembrava (leggermente) più possibilista del solito: «Siamo consapevoli dell’importanza culturale del Teatro alla Scala, vero biglietto da visita di Milano e dell’Italia nel mondo. Siamo in fase di revisione di un bilancio non facile. Ma sono ottimista nel ritenere di poter dare una soluzione tra lunedì e martedì».
Attesa. E speranza. Tutti si augurano che la Provincia confermi il suo impegno. Anche perché, in caso contrario, sarebbero due i soci fondatori (con capitale base da sei milioni di euro) da trovare. Già per uno la ricerca è cominciata da un pezzo. Tra i nomi che girano, quello della Mapei di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria. O di Tod’s e Telefonica, entrati alla Scala l’anno scorso. E anche in questo caso – preziosa la regia del vicepresidente della Fondazione, Bruno Ermolli – entro domenica dovrebbe arrivare una soluzione.
Capitolo consiglieri. Il giro di valzer in cda è già cominciato con le due nomine del ministro Lorenzo Ornaghi (l’imprenditrice Margherita Zambon e il vicedirettore amministrativo della Cattolica Alessandro Tuzzi) e si attende la riconferma di Giovanni Bazoli (Fondazione Cariplo), Paolo Scaroni (Eni), Aldo Poli (Banca del Monte di Lombardia) e Fiorenzo Tagliabue (Regione). Ma proprio sui nuovi nomi indicati dal ministero – e in particolare sulla sostituzione di Francesco Micheli – nel weekend si è scatenata la polemica. Da una parte i «micheliani», dall’altra gli «ornaghiani».
La prima a rimpiangere Micheli è Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai: «Uomo di grandissima competenza artistica e culturale. Ho come l’impressione che alcune nomine nel cda replichino esattamente quello che succedeva in passato». Riferimento neanche troppo velato allo spoil system . «In effetti – fa sapere Carlo Secchi profondo conoscitore della Scala – davamo tutti per scontata una riconferma di Micheli, visto l’ottimo lavoro che ha dimostrato di saper fare. Evidentemente il ministro ha una sua visione strategica che va rispettata». Mal di pancia nella Milano della musica, dell’arte, dell’economia. Anche se sono in molti a difendere Ornaghi «per la ventata di aria fresca che ha portato alla Scala e per l’ottimo lavoro sulla città». Doppia visione. E da Firenze arriva il commento del maestro Zubin Mehta, protagonista del Maggio musicale: «Stimo molto il dottor Micheli come grande mecenate delle arti».
Annachiara Sacch i 7 maggio 2012 | 9:46