Mayday 2012
Anche quest’anno, uno spettro si aggira per il primo maggio: è lo spettro della MayDay. E’ stato un anno di transizione, che con la perenne emergenza della crisi, ha portato a dei cambiamenti strutturali sia sul piano della politica che su quello economico sociale.
Non è necessario fare un lungo elenco, basta ricordare il golpe bianco dettato dai potentati finanziarie con l’instaurazione di un governo tecnico, che – politicamente – sta facendo in pochi mesi ciò che a Berlusconi non era riuscito di fare in anni di (mal)governo.
80 miliardi di finanziaria stanno strangolando l’economia italiana, in nome del pagamento degli interessi alle banche e della finanziarizzazione della vita (smantellamento della previdenza pubblica, ulteriori privatizzazioni del patrimonio pubblico e comune, pseudo liberalizzazioni). Una finanziarizzazione della vita che oramai è un tutt’uno con la precarizzazione della vita. La controriforma del mercato del lavoro, che un parlamento bulgaro, senza opposizione alcuna e con la complicità delle forse di centro-sinistra, sta promulgando, completa definitivamente il disegno di totale subalternità del lavoro e della popolazione agli interessi di pochi speculatori, così come l’inserimento dell’obbligo di pareggio di bilancio nella Costituzione completa il processo di asservimento della politica agli interessi finanziari.
Ed è in questo declino, che con il passare degli anni, alcuni aspetti della mayday si sono trasformati. Nata e cresciuta come tribuna di denuncia e luogo di auto-indagine e narrazione, la MayDay si è via trasformata in un luogo di riconoscimento e autorganizzazione. A partire dall’anno scorso – l’anno della Grande Trasformazione – si è trasferita nelle pratiche di tutti i giorni, di lotta di denuncia, di elaborazione e di relazione. Non più pratica di un giorno, ma continuum dell’insorgenza precaria, non solo a livello nazionale, ma sempre più a livello internazionale. Quest’anno decine saranno le Mayday nel mondo e dopo l’incontro dell’Hubmeeting 2.0 svoltosi a Milano decine di città hanno deciso di coordinare i propri sforzi per creare venti giorni di mobilitazione globale contro la crisi, la finanza mondiale, la precarizzazione.
Il primo maggio di quest’anno le Mayday di Lisbona, Amburgo, Bochum, Vienna, Porto, in Europa, di Chicago, Oakland, Miami, New York, Toronto nel Nord America lanceranno le mobilitazioni che termineranno nelle giornate di Francoforte del 17-19 maggio, dopo aver attraversato le piazze del 12 e 15 maggio: i venti giorni che potrebbero sconvolgere l’Europa e il Mondo.
Le pratiche di azione che qualche tempo venivano agite nel countdown della Mayday oggi si sono generalizzate. Percepiamo un ribollire continuo che attraversa i luoghi di lavoro ed i territori. Un ribollire caotico e scomposto, alcune volte cieco, altre volte muto, eppure sempre crescente. Nel territorio metro-lombardo sono decine le vertenze che nelle grandi aziende come in quelle più piccole, nei luoghi garantiti come in quelli precari si accendono sempre più tenacemente. Pensiamo che da questo punto di vista la metropoli milanese stia vivendo una situazione particolare, di lenta ma continua crescita.
In queste settimane questo ribollire ha portato in tante strade la resistenza di lavoratrici e lavoratori allo scippo dell’articolo 18 e alla vergogna della capitolazione dei sindacati confederali.
E’ necessario favorire e ricomporre questa conflittualità differenziata, unire i diversi rivoli per creare un torrente impetuoso e una cascata in grado di travolgere la diga del disegno politico-finanziario che sulla pelle dei precari e delle precarie vuole ribadire e mantenere il proprio potere, la propria ricchezza e garantire la propria perpetuazione. Già la manifestazione del 31 marzo a Milano ha rappresentato un segnale positivo e necessario, anche se non sufficiente per favorire questa ricomposizione sociale.
E’ infatti sulla tematica del superamento della condizione precaria che si gioca la partita. Già da qualche anno la MayDay è ed è stato il momento visibile non solo della resistenza a favore di un illusorio ritorno allo statalismo keynesiano degli anni del dopoguerra ma soprattutto di una capacità propositiva che, grazie alla piattaforma precaria, elaborata nell’ambito del progetto degli Stati Generali della Precarietà, ha fissato alcune indicazioni e proposizioni irrinunciabili e non mediabili:
La condizione precaria è LA condizione del mondo del lavoro e della vita di oggi ed è irrappresentabile dalle forme tradizionali del sindacato confederale, che spesso agita la bandiera della precarietà, in modo strumentale.
La condizione precaria è nomadismo migrante, poiché la condizione lavorativa che, oggi più che mai, rappresenta in modo paradigmatico la condizione precaria è quella del lavoro migrante.
La condizione precaria è trasversale ma non è omogenea e per diventare forza di rottura politico-conflittuale si deve ricomporre.
La ricomposizione e il superamento e della condizione precaria avviene su più livelli; in primo luogo sul piano delle rivendicazioni di un nuovo welfare come precondizione per modificare le condizioni di lavoro e non lavoro, senza per questo rinunciare di un solo millimetro ai diritti sul lavoro e alla necessità della auto/organizzazione di lavoratrici e lavoratori.
Per questo, rivendichiamo
1) Diritto all’insolvenza. Non un euro in più alle banche. Chiediamo il congelamento sino al non pagamento del debito illegittimo, contratto contro gli interessi sociali ma a vantaggio del potere militare, finanziario, potere di sfruttamento. A tal fine chiediamo che venga instaurata una commissione indipendente per l’audit sul debito pubblico: commissione che sperimentiamo nei tanti comitati, locali e nazionale, per l’audit cittadino.
2) Welfare e saperi per tutte e tutti. Chiediamo l’accesso ai beni comuni, naturali (aria, acqua, energia, territorio) e immateriali
(formazione e informazione, conoscenza, socialità, mobilità). Esigiamo la libera circolazione e il libero accesso ai saperi e alla loro
condivisione a prescindere e contro l’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale.
3) Abolizione della riforma del mercato del lavoro Fornero-Monti. Chiediamo l’introduzione di un salario minimo, la drastica riduzione degli tipologie contrattuali del lavoro, il ripristino dei diritti fondamentali del lavoro (libertà di azione e rappresentanza sindacale, malattia, maternità, ferie, controllo e dell’orario di lavoro, formazione, una pensione ad un’età decente e liberamente scelta) a prescindere dalle forme contrattuali, subordinate, parasubordinate, autonome.
4) Diritto alla casa e alla vivibilità. Esigiamo una sistema di welfare in grado di garantire una vita autonoma in abitazioni dignitose e in un ambiente salubre e non inquinato. Chiediamo sostegno all’affitto, la riappropriazione degli alloggi sfitti, la possibilità di costruire
cooperative di abitazioni e di social-housing. Sosteniamo la pratica delle occupazioni degli spazi come forma di liberazione sociale e ci opponiamo a qualsiasi occupazione militare di territori per finalità diverse da quelle stabilite dalla popolazione locale (vedi Val Susa) e a qualsiasi sgombero. Ci battiamo contro la poltica e l’economia dei “grandi eventi”, come Expo2015, dannosi per i territori e per la partecipazione politica e sociale; chiediamo il rispetto dell’ambiente e quindi dei risultati del referendum dello scorso anno su acqua e nucleare.
5)Reddito di base incondizionato per tutte e tutti. Chiediamo un unico ammortizzatore sociale, il reddito di base incondizionato, come remunerazione della nostra vita socialmente produttiva e sempre più espropriata a fini privati. Esigiamo il diritto alla scelta del lavoro e non il solo diritto al lavoro come scelta di libertà e di auto determinazione, contro ogni forma di subalternità, controllo sociale e discriminazione di genere, di orientamento sessuale e di etnia.
E’ con queste parole d’ordine che ci apprestiamo ad attraversare le calde giornate di maggio e a vivere la Mayday e le azioni che la corroborano come un trampolino di lancio per nuove lotte e nuove conquiste.
Le precarie lavoratrici e i lavoratori precari non hanno nulla da perdere, ma solo un mondo da conquistare.