Le Fondazioni
Le nuove regole: maggiore potere ai sovrintendenti
Più fondi dagli enti locali, stop al contratto nazionale
ROMA – Il «sistema lirica» cancella tutto e riparte da zero. È come passare in un colpo solo dalla macchina per scrivere all’iPad. Si esce dal museo delle Cere e si entra nella modernità. Vita dura per i bilanci in profondo rosso. Al Consiglio dei ministri di venerdì (dopo un primo confronto nel pre-Consiglio di mercoledì) si discuterà del testo unico sulle 14 Fondazioni lirico-sinfoniche che deve essere deliberato entro il 31 dicembre: oltre 40, tra leggi e decreti dal 1967 ad oggi, verranno abrogati. Il cambiamento nel mondo dell’opera sarà netto, i tempi sono stretti e prescindono dalla crisi politica. Infatti il nuovo regolamento attuerà una delega che il Parlamento ha dato al governo con la legge n.100 del 2010. Per essere adottato, serve la delibera del Consiglio dei ministri. A seguire, i pareri (obbligatori ma non vincolanti) di: Conferenza unificata, Consiglio di Stato (30 giorni di tempo) e Commissioni cultura di Camera e Senato (altri 30 giorni). Il prossimo ministro dei Beni Culturali chiuderà l’iter legislativo. Sarà tutto più semplice e diretto, nel segno della «decentralizzazione» dello Stato. Non mancheranno malumori e proteste da parte delle Regioni. Per esempio: si sottolinea la pertinenza al territorio dei singoli teatri lirici. Gli enti locali dovranno contribuire in misura «almeno uguale» a quella dello Stato. Se ciò non avverrà, una Fondazione perde lo status giuridico e economico e verrà declassata a teatro di «tradizione», con meno contributi e privilegi, e le orchestre e i cori continueranno ad esistere anche se in forma diversa. Si potrà sempre rientrare nel sistema delle quattordici Fondazioni (o meno se diminuiranno in forza della norma) se i contributi torneranno a pareggiare quelli dello Stato.
Quante Fondazioni
Prima novità dunque: il testo stabilirà quante e quali sono le Fondazioni (non è detto che resteranno 14), e come sono organizzate. Lo Stato chiederà un impegno costante a Regioni e Comuni. Il direttore generale del ministero ai Beni Culturali Salvo Nastasi, esperto in materia di legislazione dello spettacolo, ha affiancato il ministro Lorenzo Ornaghi nel redigere il testo (il suo predecessore Bondi aveva indicato le linee di principio). Si sottolinea che non si tratta di un provvedimento punitivo e coercitivo, o di un’imposizione. Si tratta di invertire il decremento economico locale degli ultimi anni, in futuro le Regioni anziché la sagra del peperoncino dovranno sostenere di più il dna della nostra cultura, l’opera, ovvero l’unico modo per parlare italiano nel mondo.
I fondi statali verranno ripartiti secondo i vecchi criteri: una parte storica e quantitativa, mentre un’altra (maggiore rispetto al passato) sarà legata alla qualità della programmazione.
Piena autonomia
Seconda novità: le Fondazioni (tutte, senza eccezioni e «eccellenze»), potranno avere «piena autonomia statutaria e indipendenza». In altre parole: si chiederanno più risorse di tutti, ma si darà in cambio più libertà. Ogni Fondazione con la revisione dello statuto sceglierà quanti componenti (sempre al massimo nove) e come si chiamerà l’organo di gestione. Sovrintendente, direttore musicale o artistico, non importa. Ma chi comanda dovrà esercitare poteri forti e soprattutto sarà responsabilizzato davanti al Consiglio d’amministrazione rispetto ai risultati della gestione. Un po’ come l’amministratore delegato di un’azienda.
Jonas Kaufmann (43 anni) e Anja Harteros (40), poi sostituita alla prima del «Lohengrin |
Sindaci in uscita
Quanto all’autonomia già conquistata da Scala e Santa Cecilia, nel regolamento verranno fatti salvi gli statuti approvati: si gettano le basi perché in futuro anche le altre Fondazioni conquistino l’autonomia. C’è una sentenza del Tar che ha accolto un ricorso della Cgil, ma non è ancora esecutiva; tale sentenza, che ha cancellato l’autonomia speciale di Scala e Santa Cecilia, sarà superata dalle nuove norme. Mentre l’Opera di Roma con i suoi doveri di «rappresentanza», o altre realtà, potranno essere riconosciute come peculiari da leggi speciali.
Ancora: su indicazione di alcuni sindaci, che hanno espresso il desiderio di non ricoprire più il ruolo di presidente, il sindaco potrà decidere di uscire dalla vita del teatro, delegando grandi personalità della cultura. Altra ipotesi è che a presiedere sia la Regione, laddove il suo contributo fosse consistente.
Antonio Pappano (52), direttore musicale di Santa Cecilia
La soglia per i privati
Il capitolo privati è un nodo spinoso e irrisolto, sempre trattato «dall’alto», in modo non pragmatico. Per entrare in una Fondazione, un privato dovrà mettere non meno del 3 per cento del contributo dello Stato (l’autonomia dovrebbe spingerli a entrare). La precedente soglia era dell’8 per cento. È stata abbassata perché le risposte dei territori e dei privati erano diverse. Ogni Fondazione potrà autonomamente decidere se rialzare la soglia o introdurre altri requisiti per l’accesso. Lo schema però non prevede un aspetto fondamentale, che presumibilmente verrà discusso in vista dell’approvazione, e cioè la defiscalizzazione per gli sponsor, come avviene negli Stati Uniti.
Il capitolo sindacati è fondamentale perché la conflittualità e i corporativismi hanno tenuto in scacco i teatri lirici. Esiste, fino a scadenza naturale, il contratto nazionale appena firmato. Dopo, ogni Fondazione si farà il suo contratto autonomamente. Basta Stato padrone, ognuno fa assunzioni e pianta organica come vuole. La contrattazione verrà decentrata, con responsabilità al management e al Cda del teatro. I teatri modificheranno il loro statuto entro 60 giorni dall’approvazione del regolamento per adeguarsi alle nuove disposizioni. L’opera in Italia cambia (davvero) spartito. L’ultima battaglia sarà quella di aumentare gli spettacoli (ci sono teatri che fanno 30, 40 recite all’anno) avvicinandosi alla media europea.
Valerio Cappelli17 dicembre 2012 | 18:46© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere della Sera
Per le fondazioni liriche riforma a rischio «stecca»